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Alla veglia diocesana per la vita storie di accoglienza e di dono

Nella chiesa di San Francesco, a Treviso, si è tenuta la veglia annuale di preghiera per la vita. 

Alla veglia diocesana per la vita storie di accoglienza e di dono

Anche quest’anno la chiesa di San Francesco, nel centro di Treviso, ha accolto la veglia di preghiera per la vita, come di consueto, primo appuntamento della serie di iniziative proposte per la Giornata per la Vita, giunta alla 45ª edizione. Organizzata dall’ufficio di Pastorale familiare, in collaborazione con i Centri di aiuto alla vita della Diocesi, la veglia di venerdì 3 febbraio è stata presieduta dal vescovo Michele Tomasi.

Nella riflessione del Vescovo, l’invito ad “aprire la propria vita a quell’amore vero, talvolta eccessivo, che apre il cuore all’imprevedibile e fa fare cose folli”, in luogo di una esistenza pianificata al dettaglio che non ammette variazioni sul tema fino a sopprimere, in senso figurato o letterale, ciò che viene ridotto ad imprevisto: “Bisogna lasciarsi sfidare dalla vita. La vita è un dono, una danza, un incontro, un profumo, non un progetto, un piano”. 

Mons. Tomasi è tornato sul filo conduttore del messaggio dei Vescovi italiani per la Giornata, “La Morte non è mai la soluzione”, per soffermarsi sulle scelte non di vita ma di morte che l’uomo compie e che trovano terreno fertile e “maturano in condizione di solitudine, paure, carenze dinanzi all’ignoto”.

Tre le testimonianze, alternate dalle letture: il primo contributo ha riportato la storia di una mamma accompagnata dall’associazione “Uniti per la vita”. Una giovane congolese residente in Italia e alle prese con una gravidanza inattesa, contrastata dal rifiuto del padre di assumersene le responsabilità. La tenace volontà di trovare soluzioni possibili, reali, diverse dall’interruzione volontaria della gravidanza, l’accoglienza e la relazione con le volontarie dell’associazione, i corsi pre-parto, il racconto di un sostegno che non cancella tutti i problemi ma che può rappresentare un aiuto, un’alternativa alla (non) scelta di seguire un cammino segnato, una storia già scritta che più che della libertà e della autodeterminazione sarebbe stata figlia della solitudine.

Il tema della solitudine e delle paure che non trovano ascolto e cura è stato evidenziato a più riprese: per il Vescovo Michele è quella “la condizione ideale in cui maturano certe scelte, la condizione di chi vive delle carenze dinanzi all’ignoto”.

Il secondo intervento, quello di un medico geriatra esperto in cure palliative, ha recuperato un altro passaggio contenuto nel messaggio dei Vescovi: il rapporto dell’uomo con il fine vita. Il testimone ha raccontato la sua vita spesa accanto a chi vive gli ultimi istanti, a quei malati terminali più o meno consapevoli di un momento che arriva. Confermando la centralità della dimensione dell’ascolto, “l’importanza di imparare anche noi medici ad ascoltare i malati”, ha riferito di come nel tempo abbia “imparato a prendere atto del mistero della vita che contempla anche la morte, il dolore, la sofferenza” e di quanto quelle innumerevoli esperienze gli abbiano restituito, anche da cristiano, la consapevolezza del valore della vita: “La vita è meravigliosa anche alla fine. Penso che la vita vada sempre accolta, pure nei momenti terminali, nell’ottica di quella vita eterna che vince lo scandalo della morte”. In una veglia pensata per pregare per una rinnovata consapevolezza della centralità del valore della vita umana, spazio anche alla testimonianza di chi celebra la vita sostenendola all’interno della vocazione al matrimonio, e non solo aprendosi alla genitorialità nel senso più comune, ma anche offrendo una possibilità a quei bambini in cerca di cura, di accoglienza, di calore familiare con l’esperienza dell’affido: una scelta che richiede tempo, risorse e una buona dose di gratuità, un vero “dono di amore che nel tempo restituisce amore”.

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