Domenica della passione del Signore - Quel sangue di salvezza
Contemplare Gesù che si consegna e sale verso il Calvario portando la sua croce tiene viva la nostra speranza, perché il punto di arrivo non sarà la sepoltura, ma la Pasqua di Risurrezione

La Domenica delle Palme e della Passione del Signore, in questo anno tutto “speciale”, è caratterizzata soprattutto dalla Passione, sia perché non è possibile celebrare la processione con i rami di ulivo benedetti, sia perché viene vissuta in un contesto che rischia di essere notevolmente appesantito dall’attuale crisi sanitaria. La lettura per esteso della “Passio” costituisce – oggi più che mai – un’opportunità: contemplare Gesù che si consegna e sale verso il Calvario portando la sua croce offre consolazione, poiché sta portando su di sé non solo le nostre sofferenze, ma anche i nostri peccati; nel contempo, questo cammino “con lui” tiene viva la nostra speranza, perché il punto di arrivo non sarà la sepoltura, ma la Pasqua di Risurrezione.
Gesù viene “consegnato”
La Passione secondo Matteo (Mt 26,1–27,66) è un dramma diviso in cinque “atti”: introduzione e preparazione della Pasqua (26,1-19), cena con i dodici (26,20-35), preghiera al Getsèmani (26,36-46), arresto e racconto della morte di Giuda (26,47–27,10), condanna a morte, crocifissione e deposizione nel sepolcro (27,11-66). Il testo viene proclamato quasi per esteso, ad esclusione dei versetti introduttivi e del racconto dell’unzione di Betania (26,1-13). I primi versetti del capitolo offrono coordinate utili a “collocare” l’intero racconto. Con l’espressione “terminati tutti questi discorsi” (26,1), riprendendo una formula che chiude ciascuno dei grandi discorsi attorno ai quali si struttura il Vangelo, Matteo indica che Gesù non ha molte altre parole da pronunciare: l’attenzione si concentra ora sul suo agire e su poche espressioni che, proprio perché “essenziali”, diventano ancor più importanti. A due giorni dalla Pasqua dice ai discepoli: “Il Figlio dell’uomo sarà consegnato (paradídomi) per essere crocifisso” (26,2); è stato Giuda a “consegnarlo” (paradídomi, 26,15.21.23.14.25; 27,3.4) ai capi dei sacerdoti; i capi dei sacerdoti e gli anziani – Pilato lo aveva ben capito – “glielo avevano consegnato per invidia” (27,18, paradídomi); lo stesso Pilato, nonostante gli avvertimenti della moglie e la sua convinzione che fosse innocente, lo “consegna” perché sia crocifisso (27,26, paradídomi. Ma il rilievo dato alla preparazione della Pasqua, insieme alla centralità del racconto dell’ultima cena, evidenziano che Gesù sceglie liberamente di “consegnarsi”: “Questo è il mio corpo” (26,26); “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati” (26,28). Tutto quel che accade, compreso l’arresto tramite il tradimento di Giuda, avviene “perché si compissero le Scritture dei profeti” (26,56).
Il suo sangue ricada su di noi
Il riferimento al “sangue” versato è uno dei tratti caratteristici della Passione secondo Matteo. Quel sangue anticipato nel vino, vero “sangue dell’alleanza”, in sostituzione di quello offerto secondo la Legge di Mosè, è causa del perdono dei peccati. Giuda stesso, in un gesto che potrebbe far pensare a una sua presa di coscienza, afferma: “Ho peccato, perché ho tradito (paradídomi) sangue innocente” (27,4). Con i trenta denari che restituisce, i capi dei sacerdoti, considerando illecito metterli nel tesoro del Tempio, in quanto “prezzo di sangue” (27,6), comprano un terreno che era detto “campo del vasaio”, in riferimento a un annuncio del profeta Geremia (Ger 32,6-9), e che sarà chiamato – da allora fino ad oggi – “campo di sangue” (27,8). Giuda, che pare consapevole del proprio peccato, non comprende, però, che quel sangue avrebbe potuto ottenere il perdono anche per lui e perciò “si allontanò e andò a impiccarsi”. Pilato, con quel gesto diventato proverbiale del lavarsi pubblicamente le mani, afferma: “Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi” (27,24). E in risposta a questo gesto del governatore, “Tutto il popolo rispose: Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (27,25). Un’affermazione che, purtroppo, nella storia del cristianesimo è stata spesso letta come un’autocondanna da parte del popolo ebraico. Altri, piuttosto, la intendono come una onesta assunzione di responsabilità, quella che Pilato non ha voluto prendersi. Ma c’è anche chi vi legge una sorta di “ironia”, simile a quella presente nei testi giovannei, secondo la quale i Giudei, che ritenevano di fare una cosa giusta mettendo a morte un “bestemmiatore”, invocano su di sé quel sangue che “è versato per il perdono dei peccati”. Preghiamo perché quel sangue discenda davvero su tutti con la sua forza di purificazione e salvezza.
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