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Fiducia nella Parola che salva - XXX Domenica del Tempo ordinario

Il Signore ascolta il grido del misero, si mette in ascolto delle sue richieste e valorizza la sua fede. Ma solo la constatazione della grandezza dei doni di Dio rende possibile una vera sequela

Fiducia nella Parola che salva - XXX Domenica del Tempo ordinario

Che cosa vuoi che io faccia per te?

Il cammino di Gesù verso Gerusalemme, che era iniziato presso Cesarea di Filippo (Mc 8,27-30), giunge oggi alla sua ultima tappa: Gerico (Mc 10,46-52). Si tratta di una della città più antiche del mondo che si trova nel punto più basso della crosta terrestre (circa 260 metri sotto il livello del Mar Mediterraneo), un’oasi che da sempre costituisce una gradita sosta per coloro che ci apprestano ad affrontare la salita verso Gerusalemme, attraverso il deserto di Giuda. Proprio nel momento in cui il gruppo sta per lasciare la celebre “città delle palme”, un incontro straordinario presenta la condizione e il cammino di Bartimeo, che rappresenta il “discepolo per eccellenza”: un cieco, conosciuto semplicemente come “figlio di Timeo”, sta seduto lungo la strada a mendicare ma, una volta incontrato Gesù, ricupera la vista, lascia tutte le sue sicurezze e, senza indugio, si mette a camminare al seguito del Maestro: “e lo seguiva lungo la strada” (v. 52).

Sono molti gli aspetti che si possono mettere in evidenza, compreso il ruolo “ambiguo” della folla, che prima ostacola l’incontro, rimproverando quel povero cieco perché gridava al Signore, ma poi si fa “portavoce” della sua chiamata: “Coraggio! Alzati, ti chiama!” (v. 49). Questo dato interpella la comunità cristiana nel suo insieme, ma anche le famiglie e i singoli in particolare: ostacoliamo o collaboriamo all’incontro con colui che chiama e salva?

Si potrebbe anche sottolineare la prontezza con cui il cieco “gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù” (v. 50): risuona come un invito per ciascuno di noi affinché non perdiamo l’occasione di fidarci della parola del Maestro a causa dell’attaccamento alle nostre vere o false sicurezze.

Grandi cose ha fatto il Signore per noi

Appare però particolarmente importante non tralasciare il cuore del messaggio di questo celebre brano: il Signore ascolta il grido del misero, trova il tempo per mettersi in ascolto delle sue richieste e sa valorizzare la sua fede. Se è vero che Bartimeo è stato disponibile e ha reso possibile l’azione straordinaria di Gesù, compresa la capacità di chiedere ciò che veramente conta, è altrettanto e ancor più vero che solo la constatazione della grandezza dei doni di Dio rende possibile una vera sequela. Tale sottolineatura è raccomandata dalla prima lettura (Ger 31,7-9), nella quale si presenta come tipico dello “stile di Dio” prendersi cura dei più deboli, come “il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente” (v. 8), come pure dal salmo responsoriale, che invita a lodare il Signore ricordando le grandi opere da lui compiute. In particolare, il testo di Geremia tratto dai due capitoli del suo libro che sono considerati un piccolo “libretto della consolazione”, per la somiglianza con il più celebre e ampio “libro della consolazione” (i capitoli 40-55 di Isaia), senza più cercare eventuali “colpe” del popolo, “il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele” (v. 7). È questo il motivo dell’invito a cantare di gioia e ad esultare per l’iniziativa totalmente gratuita di Dio. Nessuno disperi per la condizione in cui si trova, nemmeno se questa fosse stata causata dai propri errori, o dalle proprie colpe: anche coloro che “erano partiti nel pianto, io li riporterò nella tra le consolazioni”, dice il Signore.

È in grado di sentire giusta compassione

La lettera agli Ebrei, nel brano odierno, si apre su una cosa apparentemente “ovvia”: “ogni sommo sacerdote” è in grado di provare “giusta compassione” per gli uomini, in quanto viene scelto tra gli uomini ed è “rivestito di debolezza”, come ogni altro uomo (Eb 5,1-6). Gesù, però, diversamente da tutti gli altri sacerdoti “scelti fra gli uomini”, essendo “sommo sacerdote misericordioso e degno di fede” (Eb 2,17), non ha bisogno di offrire sacrifici “anche” per i propri peccati, poiché egli ha condiviso in tutto ciò che è umano “escluso il peccato” (Eb 4,15). Come ogni altro sacerdote, invece, non “sceglie” di diventare tale, ma è chiamato da Dio a questo compito: nessuno può attribuire “a se stesso questo onore”, ma è il Padre che glielo conferisce. Il testo non ha lo scopo di ricordare che solo l’iniziativa e la chiamata di Dio possono stare all’origine del sacerdozio a cui sono chiamati gli uomini, ma assume questo come “dato di partenza”, per dimostrare che ciò vale anche per Gesù stesso. C’è totale “gratuità” da parte di Dio Padre anche nel dichiarare “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato” e nello scegliere di dichiararlo “sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Malchisedek”.

 

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