Il nostro “poco” e il suo dono senza misura - XVIII DOMENICA T.O. (ANNO A)
Gesù chiede che i discepoli mettano a disposizione tutto quello che hanno, 5 pani e 2 pesci, per quanto sembri inadeguato. E il racconto, più che la cronaca di un “miracolo”, sembra un “anticipo” della cena eucaristica

L’insegnamento di Gesù attraverso le parabole, che ha accompagnato la liturgia delle ultime domeniche (Mt 13,1-53), non porta nell’immediato frutti buoni; d’altra parte, proprio questo era stato anticipato dall’insegnamento di Gesù: la Parola di Dio realizzerà certamente il regno di Dio, ma con tempi lunghi, in mezzo a molti ostacoli (il grano e la zizzania) e nella logica della piccolezza (granellino di senape, lievito).
Si ritirò in un luogo deserto
Finito il discorso parabolico, infatti, Gesù fa ritorno a Nazaret, il suo villaggio di origine, dove però viene rifiutato perché “troppo familiare” per poter essere considerato davvero un “profeta”: “Non è costui il figlio del falegname?” (cf. Mt 13,54-58). Poco dopo, Gesù viene a sapere della tragica morte di Giovanni il Battista per mano di Erode, che viene raccontata come in un flashback (Mt 14,1-12): colui al quale, al momento del battesimo, aveva detto “conviene che adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,15), è già stato chiamato a “dare” la sua vita, anticipando così quanto sarebbe accaduto anche a lui.
Non a caso, dunque, il riferimento alla morte del Battista introduce l’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci che viene proposto nel Vangelo di questa domenica (Mt 14,13-21). Dopo aver appreso questa notizia, infatti, Gesù vorrebbe ritirarsi “in un luogo deserto, in disparte”, quasi per prendersi del tempo per riflettere su ciò che gli si prospetta. La folla, che lo segue per incontrarlo, ascoltarlo ed essere guarita, sembra costituire una sorta di disturbo al suo tentativo di vivere un tempo di “ritiro”, ma forse non è proprio così.
Cinque pani e due pesci
La vista di quella moltitudine non provoca in lui alcuna reazione negativa ma, anzi, l’evangelista annota solo che egli “sentì compassione”, iniziando a prendersi cura di loro. Sembra addirittura che non si accorga del calar della sera, tanto che sono i discepoli a dirgli: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla”. La risposta di Gesù deve averli spiazzati non poco, mettendoli di fronte alla propria inadeguatezza rispetto al compito loro affidato: “Voi stessi date loro da mangiare”. Come potevano dare da mangiare a cinquemila uomini (senza contare le donne e i bambini!), con i soli cinque pani e due pesci che avevano con sé? Gesù non si spaventa della pochezza di cui dispongono i suoi: non lo aveva forse anticipato ripetutamente nelle parabole? Chiede solo che i discepoli mettano a disposizione tutto quello che hanno, per quanto possa sembrare inadeguato:
“Portatemeli qui”
Il racconto che segue, più che la cronaca di un “miracolo” straordinario, sembra essere un “anticipo” della “cena eucaristica”: prese, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani, li diede ai discepoli e questi li distribuirono alla folla. Sembra quasi che venga distribuito solo il pane spezzato e che solo di questo vengano raccolti i “pezzi avanzati”: dodici ceste piene. Evidentemente, l’evangelista tralascia qualche particolare del racconto perché lo sta già rileggendo (ricordiamo che scrive probabilmente dopo l’80 d.C., quindi ad almeno cinquant’anni di distanza) alla luce della celebrazione eucaristica che era ormai familiare nelle comunità cristiane.
Più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Storicamente, dunque, è probabile che Gesù sia stato davvero turbato dalla notizia della morte del Battista, come pure si può immaginare che avrebbe desiderato un tempo di silenzio per riflettere su ciò che si prospettava davanti a lui; ma l’evangelista, rileggendo la storia a distanza di molti anni, si rende conto che la dedizione alle folle senza misura, mossa dalla profonda compassione nei loro confronti, come pure la capacità di trasformare il poco che gli si mette a disposizione in un dono sovrabbondante per tutti, si manifestano ormai ai credenti di ogni tempo e di ogni luogo nella celebrazione eucaristica: non si tratta di un “rito” tra i tanti, ma del dono della sua morte e risurrezione per la salvezza di ogni uomo.
Mentre la prima lettura sottolinea la dimensione di totale gratuità che caratterizza i doni sovrabbondanti del Signore (Is 55,1-3), l’ascolto della Lettera ai Romani, che giunge alla conclusione del capitolo ottavo (Rm 8,35.37-39), sembra offrire – in questo caso – il commento più pertinente all’episodio evangelico ascoltato: di fronte alla tribolazione, all’angoscia, alla persecuzione, alla fame, alla nudità, al pericolo e alla spada, noi siamo “più che vincitori grazie a colui che ci ha amati”.
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