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Il tuo volto, Signore, nei condannati - DOMENICA DELLE PALME - PASSIONE DEL SIGNORE

La vicinanza ultima di Gesù

Il tuo volto, Signore, nei condannati - DOMENICA DELLE PALME - PASSIONE DEL SIGNORE

Il lungo racconto che apre la settimana centrale della celebrazione della nostra fede è più di un racconto: è per noi annuncio di salvezza, una chiamata a lasciarci trasformare in profondità la vita che ora stiamo vivendo. Ed è chiamata che ci viene rivolta quest’anno attraverso il vangelo secondo Matteo. Mi concentrerò perciò soprattutto sulla prospettiva che questo evangelo presenta circa la passione di Gesù.

La morte del condannato, la morte del maledetto

Morire sulla croce è la fine che Gesù ha iniziato a intuire da tempo, annunciandola anche ai suoi. E’ la morte del condannato e del maledetto, e nel procedere del cammino si ritroverà sempre più da solo. Alla fine, sembra sentirsi abbandonato perfino dal Padre. D’altronde, la Scrittura era chiara in proposito: «maledetto chi è appeso al legno» (cf. Dt 21,22-23). Paolo ne trarrà le paradossali conclusioni (Gal 3,13-14; 2Cor 5,21).
Nel racconto di Matteo, Pilato tenterà di lavarsi ipocritamente dal sangue di quella condanna, mentre la folla sarà disposta ad assumersene la responsabilità. In ogni caso, Gesù è soggetto ad un’umiliazione sempre più profonda e dolorosa, è sempre più abbandonato “alle mani degli uomini”, «svuotato» di ogni dignità «fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8). Croce che ad un certo punto non avrà neppure più la forza di portare. A sorpresa, a riconoscere il suo volto di Figlio di Dio saranno gli esecutori della condanna, i soldati e chi li comanda, ma solo dopo la morte, quando l’irreparabile è ormai avvenuto. Un irreparabile che può sconvolgere come un terremoto, che può spezzare cuori di pietra, che può perfino aprire uno spiraglio nella stessa morte: sono i “segni” che in Matteo vogliono raccontare il senso di quanto è avvenuto. Ma quanto è accaduto è comunque irreparabile, e ad assicurarsi che rimanga tale viene sigillata la tomba e vien fatta sorvegliare.

Qual è la volontà del Padre?

E’ questa la volontà del Padre? Che il Figlio muoia, solo, come un infame malfattore? Torniamo così a confrontarci con l’interrogativo nato con la morte di Lazzaro, «colui che Gesù amava», un interrogativo reso ancora più drastico dalla morte dello stesso Gesù: neppure essere il Figlio di Dio libera dalla rovina della morte? L’ultima provocazione, sotto la croce, è senz’altro radicale: «Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”». Quale folle illusione allora è scegliere di seguirlo? E neppure ne siamo capaci… dei suoi discepoli, solo donne rimangono alla fine, che a quel tempo non contavano nulla, e anch’esse tenute a distanza dalla croce, alla fine sedute impotenti davanti alla tomba sbarrata.

La crisi: l’abbandono dei discepoli, la scelta di Gesù

Al Getsemani, Matteo mette in risalto la crisi che si manifesta appena prima del precipitare degli eventi. Tale crisi per Gesù riguarda l’accogliere la volontà del Padre anche se questa volontà comprende la sua morte in croce. I suoi discepoli saranno sconvolti da questo scandalo. Di Giuda, che ne è coinvolto direttamente, Matteo racconterà la fine disperata. Lo stesso Pietro si scoprirà incapace di seguirlo, nonostante le sue promesse, rinnegandolo in un pianto amaro. E tutti gli altri lo abbandoneranno, non reggeranno questa tragedia. Gesù invece supererà la crisi, andrà fino in fondo grazie ad una scelta rinnovata ancora una volta: Gesù decide di affidarsi al Padre, a costo della sua stessa vita. Non rinnega cioè la relazione che ha dato senso a tutta la sua esistenza, la relazione di figlio. Rimane fedele fino alla fine all’amore che ha sostenuto ogni sua scelta, fidandosi che avrebbe continuato a sorreggerlo addirittura nella morte in croce.

Una scelta e la sua conseguenza

Questa scelta ha una conseguenza: di fronte all’ultima tentazione, «scenda ora e crederemo in lui», il Figlio di Dio rimane in croce perché vi rimangono tutti gli altri figli, tutti i suoi fratelli e sorelle. La sua scelta di rimanere fedele all’amore del Padre diventa fedeltà che ama tutti gli altri figli e figlie di Dio. E’ vicinanza ultima: nemmeno chi muore in croce muore solo, perché muore con Gesù il Figlio. Di fronte ad ogni sofferenza, ad ogni morte noi gridiamo “facci simili a te, che in quanto Dio non patisci la sofferenza e la morte!”. La sua risposta rovescia le nostre attese: “Io mi faccio simile a voi, porto in me la condanna a morte che rovina la vostra vita, e lo faccio per farvi simili a me, capaci come me di un amore più forte perfino della morte”. E’ questa la volontà di Dio, la volontà del Padre fatta propria dal Figlio, fino a donare nella morte lo Spirito, il suo stesso amore. Ma dovremo attraversare nuovamente ogni tratto di questa Passione, passione di Dio perché passione quotidiana di uomini e donne condannati a morte da situazioni inumane di vita, per poter giungere a cogliere l’incredibile seme di speranza che fin nella morte viene seminato.
Un amore che ci è continuamente donato. Il racconto della passione e morte di Gesù potrebbe rimanere il racconto del nostro fallimento nel seguirlo, come per i discepoli di allora. Invece, non a caso, all’interno di questo racconto c’è la narrazione dell’ultima cena, e del dono consegnatoci di un pane e di un vino che diventano presenza viva di Gesù/Dio-salva nel quotidiano della nostra esistenza. Sarà questa presenza, che continuamente ci viene donata, a renderci possibile ritornare a seguirlo ogni volta che lo abbandoniamo, perché in quel pane e in quel vino lui comunque ci resta vicino, e continua a condividere con noi l’amore necessario a riprendere con lui il cammino. 

LA SCHEDA

Reliquiario della Passione sec. XIV museo diocesano TrevisoCalvino ironizzerà sulle reliquie della Croce e sulla loro massiccia presenza nelle nostre comunità: “Non basterebbe una foresta per produrle ...”. In realtà sappiamo che non è così e che potenzialmente sarebbero compatibili con una reale autenticità, ma non è questo il punto centrale: queste reliquie, pur con un linguaggio e una sensibilità che non sono più i nostri, ci testimoniano la fede delle generazioni che ci hanno preceduto e il bisogno (loro come nostro) di avere un contatto esistenziale e non semplicemente intellettuale e formale con la Passione di Gesù.

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