La salvezza nell’affidarsi a Gesù - XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Gesù si dimostra veramente “Figlio di Dio” perché può intervenire nella storia con la sua stessa forza ed efficacia. Ma non sempre lo fa secondo le nostre aspettative

Finalmente anche Gesù riesce a vivere un tempo di solitudine, in disparte, a pregare: tale desiderio era stato frustrato dalla folla accorsa presso di lui, alla quale si era dedicato guarendo gli ammalati e offrendo cibo in abbondanza (Mt 14,13-21). Ora si può regalare un tempo prolungato per stare “sul monte”, luogo che la Bibbia considera privilegiato per l’incontro con Dio (Mt 14,22-23).
Signore, salvami!
I discepoli, invitati a mettersi in barca per passare all’altra riva, si trovano affaticati a remare (tutta la notte?) contro le onde alzate dal vento (Mt 14,24). Dopo aver passato la notte in preghiera, Gesù cammina sulle acque incontro a loro, ma essi non lo riconoscono e rimangono spaventati (Mt 14,25-27). I commentatori notano che la reazione dei discepoli assomiglia a quella narrata dagli evangelisti di fronte alle apparizioni di Gesù risorto; similmente, Pietro si rivolge al maestro con un titolo che sarà utilizzato solo dopo la Pasqua: “Signore”; così pure le parole di incoraggiamento che vengono rivolte a lui e agli altri che erano con lui sono tipiche di una “manifestazione” del Risorto: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”; e anche dopo il tentativo fallito di Pietro di camminare sulle acque (Mt 14,28-31), la reazione dei presenti, al vedere che Gesù ha il potere sulle acque e sul vento, corrisponde a una professione di fede: “Davvero tu sei il Figlio di Dio!” (Mt 14,32-33).
Sembra plausibile, dunque, leggere tutto l’episodio non solo come il racconto di un fatto straordinario, ma anche come una rilettura della situazione che, in tempi diversi, la chiesa si trova a vivere, quando si trova “in cattive acque” e fatica ad affidarsi totalmente al Signore. Una notte intera passata a remare senza successo (e parliamo di un lago di modeste dimensioni), rappresenta molto bene le attività che singoli e comunità mettono in atto da tempo senza efficacia; così come la fatica a riconoscere il modo nel quale il Risorto “passa” nella concretezza delle vicende di ogni giorno; e quel misto di fede e incredulità di Pietro e di tutta la Chiesa: intuisce di poter “camminare sulle acque” con Gesù, ma quando torna a contare sulle proprie forze, rischia di affogare e si lascia prendere dalla paura. Pur constatando la nostra poca fede, però, rimane fondamentale gridare con Pietro: “Signore, salvami!”.
Il sussurro di una brezza leggera
“Appena saliti in barca, il vento cessò”. Dio ha il potere sulle acque (dalla creazione, fino all’Esodo e al passaggio del fiume Giordano). Gesù si dimostra veramente “Figlio di Dio” perché può intervenire nella storia con la sua stessa forza ed efficacia. Ma non sempre lo fa secondo le nostre aspettative. Anche il grande profeta Elia lo ha imparato a sue spese. Sicuro difensore della fede nell’unico Dio, capace di invocare la siccità su tutto il paese (1Re 17,1) e poi di chiamare su di esso la pioggia (1Re 18,41-46); lui che, sul Monte Carmelo, aveva invocato il fuoco dal cielo per sconfiggere i profeti di Baal (1Re 18,20-40), sull’Oreb (il monte Sinai) fatica a riconoscerlo: si aspetta che Dio sia nel vento impetuoso, nel terremoto, o nel fuoco, ma deve riconoscerlo nel “sussurro di una brezza leggera” (1Re 19.9a.11-13a). Dio preferisce manifestare la sua potenza in maniera estremamente “delicata”, nel rispetto della libertà dell’uomo che può riconoscerlo, come anche no: è lo stile di Gesù, manifestato anche dalle “parabole del regno” ascoltate nelle scorse domeniche.
Un grande dolore e una sofferenza continua
Nella lettera ai Romani, Paolo parla della “potenza di Dio per la salvezza” che si manifesta nel Vangelo: in esso, “si rivela la giustizia di Dio” (Rm 1,16). Dopo aver speso i capitoli da 5 a 8 per mostrare in che modo Dio, in Gesù, si manifesta “giusto” rendendo “giusto” chi crede in lui, al capitolo 9 deve fare i conti con un “modo di agire” che non riesce ancora a comprendere (Rm 9,1-5). Prima di tutto, ribadisce ciò che la fede gli consegna, nonostante tutte le sue perplessità. Egli soffre perché una parte dei suoi “fratelli” Israeliti non ha ancora riconosciuto Gesù: Che cosa ne sarà di loro? Sono i custodi di tutti i doni che Dio ha loro offerto “gratuitamente”: non se li sono mai meritati, fin dall’inizio, come appare evidente da alcuni passaggi dell’AT (Dt 7,7). Ora che farà con loro? Ritirerà i suoi doni e la sua chiamata? (Rm 9,1-5). La risposta ci verrà data dalla liturgia della prossima domenica, ma non dal presente commento, poiché La Vita del Popolo farà due settimane di ferie.
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