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La sua tenda in mezzo a noi - II domenica dopo Natale

E' venuta ad abitare tra noi la Parola che si è fatta carne

La sua tenda in mezzo a noi - II domenica dopo Natale

All’inizio del suo Vangelo Giovanni ci conduce, come “su ali d’aquila”, oltre lo spazio e il tempo a contemplare il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Del resto il simbolo che rappresenta l’autore del quarto Vangelo è proprio l’aquila, “volatile dal rapido volo e lo sguardo di fiamma: occhio che lampeggia sopra le inesplorate scogliere” (Turoldo).
Una Parola colma di senso
Ma più questo “prologo” ci avvicina alla vetta, più si avverte che “per mezzo dell’apostolo Giovanni, Dio ha rivelato le misteriose profondità del suo Verbo”, come si esprime la preghiera iniziale della messa nella memoria dell’Evangelista il 27 dicembre.
È proprio questa dinamica vertiginosa ad attraversare tutto il testo: dal mistero dell’infinitamente grande e inconoscibile si è condotti al mistero dell’infintamente piccolo. Colui che da sempre vive presso Dio, ora ha posto la sua dimora in mezzo a noi. Giovanni lo chiama il “Logos” (il Verbo), la “Parola”. Ma non una parola vuota, una chiacchiera, bensì una parola piena di significato, portatrice di luce. Una parola creatrice, perché fa ciò che dice. Da sempre questa Parola è protesa in ascolto del Padre. È questa Parola, imbevuta dell’eterno messaggio d’amore che riceve dal Padre, ad assumere la nostra condizione umana.
La Parola si è fatta “carne” e ha preso il nome di Gesù Cristo. Giovanni preferisce il termine “carne” a quello di uomo, perché esprime meglio la nostra condizione umana segnata dal limite e dalla fragilità.
La tenda di Dio
Nessuno hai mai visto Dio Padre, sarà Gesù a svelarci il suo volto. Lui, il Figlio, è tutto suo Padre. Le sue parole ci raccontano il segreto d’amore di Dio. Ce lo svelerà abitando in mezzo a noi, diventando lui stesso la dimora umana di Dio tra gli uomini. Giovanni sapeva che nel tempo del deserto Mosè aveva riservato una tenda al Signore. L’Eterno viveva tra le tende del suo popolo in cammino nel deserto. Ora il Dio che si fa carne è venuto a “impiantare la sua tenda” in mezzo a noi. (Questo è il senso letterale di “venne ad abitare in mezzi a noi”).
Non più, però, un manufatto di tela, ma il corpo stesso di Gesù di Nazareth sarà la tenda/abitazione del “Dio - con - noi”. Non a caso la custodia dell’Eucaristia si chiama, dal latino, “tabernacolo”, cioè “tenda”. Più che la custodia materiale è “il corpo” stesso di Gesù a essere la tenda della “Presenza”.
È la vertigine del cristianesimo, è la vertigine del Natale. Nessuna religione osa affermare tanto. Al massimo si sogna un dio che viene... ma poi se ne va, come il dio Krishna nella mitologia indù, che si avvicina alla terra con il suo cocchio dorato, ma vi rimane sospeso perché neppure le ruote devono sporcarsi della nostra polvere.
Testimoni della luce
Condotti da san Giovanni a scrutare le profondità del mistero d’amore di Dio, anche noi avvertiamo, come confessava Kafka, che “Gesù è un abisso di luce”. Ma, se gli abissi richiamano anche lontananze oscure, Gesù è “la luce che splende nelle tenebre”. Continua però sempre Kafka: “Devi chiudere gli occhi per non caderci dentro”. Noi invece abbiamo bisogno di chi ci apra gli occhi e ci faccia cadere dentro questo “abisso di luce”.
Nel prologo l’evangelista ricorda il ruolo di Giovanni Battista: “Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce... Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce”.
Sulla scia del Battista ogni cristiano è chiamato a essere testimone della luce. Quanti lo sono non è perché siano persone “brillanti”, bensì testimoni luminosi della bontà di Dio che è apparsa nella loro vita.

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