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Non lasciamo i poveri alle porte della chiesa!

A queste domande hanno provato a rispondere Roberta Ronchiato, biblista, e il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana, sabato 10 novembre di fronte a un centinaio di rappresentanti delle Caritas parrocchiali riuniti per l’assemblea diocesana nell’auditorium San Pio X. Nell'imminenza della Giornata mondiale dei poveri.

Non lasciamo i poveri alle porte della chiesa!

Può il “povero” essere visto come “sacramento”? Mentre anche nelle nostre parrocchie aumentano le situazioni di fragilità e precarietà ed emergono bisogni sociali nuovi, come pensare alle povertà senza cadere nel buonismo e nella demagogia? Qual è lo sguardo di Cristo e del Vangelo?
A queste domande hanno provato a rispondere Roberta Ronchiato, biblista, e il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana, sabato 10 novembre di fronte a un centinaio di rappresentanti delle Caritas parrocchiali riuniti per l’assemblea diocesana nell’auditorium San Pio X. Roberta Roncato, biblista, è partita dalla citazione di un articolo di don Franco Marton, scritto 25 anni fa, in cui l’allora direttore del Centro missionario, affermava “E’ raro sentire parlare della Chiesa dei poveri”. Questa espressione diventata uno slogan, “è stata solo usata come espressione pre-conciliare o post-conciliare”. Ora papa Francesco ha fatto dei poveri il centro del suo magistero, in coerenza con il Vangelo. Per Roberta Ronchiato, è nell’Evangelii Gaudium che si chiarisce perfettamente perché papa Francesco pone al centro del suo pontificato “il povero”.
Ma chi sono i “poveri”? Il Vangelo di Luca li enumera e dà loro un volto: “i prigionieri, i ciechi e gli oppressi”, e inoltre “gli orfani, le vedove e gli stranieri”, già patrimonio dell’Antico testamento. L’annuncio del Vangelo va inoltre agli ammalati nel corpo e nell’anima, va a coloro che tendono alla liberazione ed è a loro che va portata la buona novella. E sono loro, nel contempo, soggetti, ma anche protagonisti del cammino di salvezza, coloro che costruiscono la salvezza dal di dentro, dall’interno come soggetti attivi.
Perché questo radicale cambiamento? Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium viene chiarito che è Dio a farsi “povero”, per assumere tutta la fragilità umana; e Gesù si intrattiene con gli ammalati, i carcerati, le prostitute, e dice chiaramente: “Tutto ciò che avrete fatto a questi piccoli, l’avrete fatto a me”. Dio si fa povero e ci porta a riflettere sulla nostra precarietà umana. Parlare di “povero” vuol dire, quindi, anche parlare di noi stessi! Un cambiamento radicale di prospettiva, che porta papa Francesco a scrivere che i poveri sono i nostri “maestri”, i soggetti da cui “attingere l’essenza del Vangelo”.
Il cardinale Montenegro ha poi portato le esperienze vissute direttamente, quelle dei nuovi poveri: i giovani disoccupati del Sud, gli immigrati arrivati con i barconi a Lampedusa. Avverte il cardinale: “Attenzione, noi stiamo parlando dei servizi, ma parliamo troppo poco dei poveri e stiamo perdendo di vista Gesù, il «povero» per eccellenza! E questo ci porta a essere diffidenti, ad avere paura l’uno dell’altro! Andando controcorrente, dovremmo essere quelli che hanno in mano cieli nuovi e terra nuova! Oggi abbiamo bisogno di trovare il coraggio per un sussulto di vita vera”.
Il cardinale racconta delle trecento bare che ha visto arrivare dopo il naufragio di un barcone di immigrati vicino alla “sua” costa. Benedicendole, ha visto che molti dei morti avevano al collo una croce: erano cristiani. “Attenzione a puntare il dito! Tocca a noi credenti dare una risposta a questa società, che crea i poveri e poi finge di non vederli”... o crea gli “esuberi” come li chiama il fondo monetario internazionale. “E’ un problema che interessa la società ma anche noi come Chiesa - ha proseguito Montenegro -. Non vi pare che anche noi diamo l’impressione che i poveri non li vogliamo?! Dopo 40 anni di Caritas i poveri sono rimasti alle porte delle chiese! Ci lamentiamo che non accettano la nostra elemosina, ma Follereau diceva che l’elemosina è come l’osso dato ai cani! Se non avessimo i poveri nelle nostre comunità, noi avremmo difficoltà ad incontrare Gesù”.

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