Parroci, comunità e funerali: un dolore che va accolto
Quello dell’ultimo saluto è un momento di grande vulnerabilità per i familiari, come conciliare le richieste particolari delle famiglie con la liturgia?

E’ anche un’esperienza di comunità il funerale. Così, almeno, è vissuto in gran parte delle nostre parrocchie. “Si tratta di un momento particolare, in cui c’è una comunità che si incontra e accompagna il defunto, ma soprattutto la sua famiglia che vive il dolore del distacco” sottolinea don Giulio Zanotto, parroco di Salzano. Per questo, quando c’è il funerale di qualcuno che non ha famigliari, magari di un ospite della Casa di riposo con pochi legami nel territorio, don Giulio chiede, a chi può, di partecipare a nome della comunità: “E’ una delle opere di misericordia che si può vivere anche attraverso questa testimonianza di carità, di accompagnamento. Ho presente alcune persone che magari non frequentano la messa domenicale, ma non mancano ai funerali, dimostrando la propria vicinanza a chi soffre. Centrale è anche la cura della liturgia, con l’organista, l’animatore dei canti e il servizio d’ordine: è una bella attenzione della comunità nei confronti di tutti”.
Quello dell’ultimo saluto è un momento di grande vulnerabilità per i famigliari. Lo mette in luce don Gerardo Giacometti, parroco di Castello di Godego: “Nelle persone che soffrono per la perdita di un loro caro, una parola in più detta per motivi liturgico - pastorali, che a noi sacerdoti sembrano imprescindibili, può suonare come un rifiuto e una non accoglienza del loro dolore, che si ripercuote come un’eco nella loro vita. Personalmente cerco di valutare insieme ai famigliari o agli amici del defunto le richieste, senza stroncare o sottovalutare, ma cercando di cogliere l’istanza sottesa a quella domanda di leggere una poesia o di suonare una particolare canzone”.
Come “rispondere”, infatti, a tante richieste di saluti particolari, di canti non esattamente liturgici, di segni quasi “profani”? “Io vengo dall’esperienza africana - sottolinea don Giulio - nella cui tradizione il momento del congedo è istituzionalizzato, con le persone che prendono spesso la parola. In questo nostro contesto serve trovare un equilibrio; trovo giusto che anche altri possano prendere la parola, magari alla fine del rito, per un momento sobrio di ricordo o di preghiera. Importante è incontrare le persone, parlare, concordare insieme alcuni passaggi”. Anche don Gerardo preferisce indirizzare qualche ricordo alla fine del rito, prima dell’ultimo commiato, oppure sul sagrato, all’uscita.
“In chiesa cerchiamo di avere alcune attenzioni. Nell’omelia cerco di fare una lettura di fede della vita del defunto, per quanto il Signore può dirci attraverso la sua Parola contenuta nelle Scritture e attraverso la vita di ogni suo figlio. Invito a recuperare pagine di sapienza e verità evangelica della vita vissuta. Questo è possibile dedicando tempo all’incontro dei parenti. La narrazione di qualche pagina della vita della persona defunta è liberante anche per loro, spesso li riconcilia tra loro e con l’evento che stanno vivendo. Questi incontri e una celebrazione curata possono lasciare un ricordo buono nelle persone, che si sono sentite accolte nel loro dolore”.
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