Risposte di giustizia e di vita da inventare - VII domenica del Tempo ordinario
Non ci è chiesto di essere “perfetti come il Padre”, ma di scegliere questa prospettiva di amore gratuito

“E come potremo mai agire così, è troppo quanto chiedi! Chi di noi è perfetto?”. E’ la domanda, talvolta sconsolata, che ci nasce in cuore alla fine di questo brano evangelico. Proviamo invece, una volta ancora, a proseguire nell’ascolto.
Una giustizia nuova, sovrabbondante
Il testo di questa domenica è in continuità con la proclamazione di coloro che sono beati perché destinatari della definitiva Alleanza che Dio vuol fare con l’umanità. A cui segue la dichiarazione che ciò richiede una “giustizia sovrabbondante” rispetto al “giusto comportamento” inteso da chi, come gli scribi e i farisei, voleva mettere in pratica le indicazioni della Torah, dell’Alleanza con Dio, secondo la logica della giustizia umana. La giustizia umana chiede al massimo di non fare del male all’altro, mette un confine tra la tua libertà e quella altrui. E questo è bene. Ma nella logica dell’Alleanza rinnovata, non basta. Di fatto, questo modo di agire accetta che non vi sia altro rimedio che arginare la violenza con una forza superiore, a sua volta violenta se necessario. Invece, la “giustizia secondo Dio”, la giustizia che costruisce il suo Regno, piuttosto che limitarsi a difendere la vita, vuole generarla in sovrabbondanza. E’ una prospettiva davvero diversa, è la prospettiva del Dio sperimentato da Gesù, un Dio che prima di tutto è Padre, e genera un Figlio e crea un universo per la vita. Un Dio che mette in grado Gesù di vivere pienamente la sua realtà di Figlio amato. E Gesù il figlio è colui che vive amando, e amando genera vita intorno a sé.
Concrete situazioni segnate da violenza
Questo stile di vita, questa scelta di vita, porta di conseguenza a non rassegnarsi alla violenza costantemente presente nella complessità dei rapporti umani. Attenzione: Gesù non fa finta che la violenza non ci sia, anzi. Gli esempi concreti che porta sono tutti centrati su situazioni violente: una percossa particolarmente umiliante e premeditata (un manrovescio è più di uno schiaffo), un furto magari legalizzato (“togliere la tunica” a qualcuno voleva dire letteralmente “lasciarlo in mutande”), una costrizione imposta con la forza (il verbo usato, “angariare”, vuol dire costringere qualcuno a “seguirti” facendogli fare quel che vuoi tu). Di fronte a queste situazioni la proposta di Gesù non è di subire passivamente. E’ piuttosto scegliere di inventare risposte diverse, azioni paradossali se necessario, che generino la capacità di stare di fronte al violento spezzando la logica della risposta altrettanto violenta (“occhio per occhio”, ed era già limitarsi a una violenza proporzionata…). Perché la risposta violenta non fa che confermare un mondo violento, invece se si dà vita, senza «voltare le spalle» indurendo il cuore con indifferenza nei confronti di chi è nel bisogno, nasce nuova vita.
Vita nuova e sovrabbondante donata dall’amore gratuito del Padre
Una vita capace di essere così viva da superare l’agire del nemico, colui che te la vuole diminuire, umiliare, rubare… Il sole che Dio fa sorgere, l’acqua che Dio fa cadere, generano vita per tutti, non soltanto per coloro che sono d’accordo con te, non soltanto per coloro che sono in pace con Lui.
C’è una sovrabbondanza di vita che il dono di amore del Padre fa sgorgare dentro la tua vita: è questa sovrabbondanza chiamata amore gratuito (agàpe) a generare la “giustizia sovrabbondante” rispetto alla logica della “giustizia che misura la violenza” sulla base della violenza altrui. E questo modo di vivere ti rende capace di generare vita a tua volta, nelle forme che l’amore gratuito sa inventare, di situazione in situazione.
Certo, è proposta rischiosa: Gesù, nel viverla fino in fondo, finisce a morire in croce. Ma perfino quella morte non distrugge il dono di vita dell’amore di Dio. Il passaggio oltre la morte, nella vita piena del Risorto, conferma che la proposta di Gesù mantiene la promessa di vita del Padre.
Un cammino comune verso la pienezza di Dio
Allora la domanda iniziale trova una iniziale risposta: non ci è chiesto di essere “perfetti come il Padre” già ora, già qui, quanto di scegliere di accogliere con fede questa prospettiva di amore gratuito e di camminare verso l’orizzonte del Regno di Dio, un passo alla volta. Lasciandoci sorreggere dalla sua misericordia, dall’azione di Gesù, che è Dio-salva al nostro fianco. E di farlo non da soli, ma sostenendoci gli uni gli altri in una comunità di credenti in cammino, insieme ad altri uomini e donne di buona volontà, inventando insieme risposte di vita alla violenza della storia.
“AMATE I VOSTRI NEMICI”: QUALI RISPOSTE ALLA GUERRA IN UCRAINA?
La proposta evangelica del testo di Matteo 5, 38-48 ci affida una responsabilità grande nel cercare azioni che ispirino passi possibili dentro la storia di un mondo violento quale quello in cui viviamo. Tale responsabilità chiede di non eludere le domande durissime che la realtà ci propone, come quelle poste qualche giorno fa dall’arcivescovo di Kyiv nella tragedia della guerra in Ucraina: “Cosa possiamo fare adesso per fermare l’aggressore? Come possiamo proteggere la vita? Come possiamo fermare i carri armati russi senza usare le armi? È una domanda aperta e se voi la sapete, vi saremmo grati della risposta”. In situazioni come questa non è solo in gioco la risposta individuale a una violenza personale subita, a cui si potrebbe “porgere l’altra guancia”, ma la responsabilità di salvare vite di gente indifesa - figli, madri, vicini, connazionali... - minacciata da un aggressore la cui mano, se possibile, va fermata. Ciò che ci è promesso non è la garanzia di poter evitare queste scelte tragiche, ma l’impegno del Padre, in Gesù, a sostenerci e accompagnarci passo passo, perfino dentro le morti che la violenza genera, continuando a seminare semi di risurrezione. La responsabilità che ci è affidata ci chiede anzitutto di “non voltare le spalle” a chi è vittima di una logica violenta. La via verso la vita di Pasqua passa attraverso innumerevoli crocifissi, in cui Dio continua a farsi vittima insieme a tutte le vittime. Per continuare il cammino è necessario generare ogni giorno passi di speranza: sostenere chi patisce violenza, accogliere chi fugge, condividere risorse, ma anche confrontarsi incessantemente per rispondere all’interrogativo: “Come fermare la violenza senza usare violenza o almeno ridurne il ricorso al minimo, creando piuttosto alternative di vita?”.
Credo che non rassegnarsi al solo invio di armi, ma porsi seriamente questa domanda sia già iniziare ad accogliere la forza creativa che lo Spirito Santo ci dona. Una forza che scombina i nostri stanchi tentativi personali ed ecclesiali di limitarci a sopravvivere in un contesto difficile e conflittuale, e continua a metterci a disposizione tutto l’amore necessario per contribuire a generare, con tanti uomini e donne di buona volontà, la vita di Pasqua, il sogno del Regno di Dio che germina nell’umanità di ogni tempo.
E perciò preghiamo con il vescovo di Kyiv e con tanti altri uomini e donne straziati dalle guerre: “Aiutaci Padre nostro a capire come proteggere la vita: se esistono vie per fermare l’aggressore senza usare le armi e in ogni caso, come fare perché l’odio non prevalga e disumanizzi sia «il nemico» sia noi stessi”. (d.B.B.)
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento