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Seminaristi in Italia: l'invito ad assumere uno "sguardo vocazionale"

I dati, rilevati dall'Ufficio nazionale per la pastorale della vocazione della Cei, mostrano che in 50 anni le nuove vocazioni in forza alla Chiesa cattolica sono diminuite di oltre il 60%. E dal 2009 al 2019 la flessione è del 28%

Parole chiave: seminaristi (2), seminario (115), vocazione (18)
Seminaristi trevigiani

Sono 1.804 i seminaristi diocesani che vivono nei 120 Seminari maggiori d’Italia. La maggior parte di loro si trova in Lombardia con 266 unità (15% del totale) e nel Lazio con 230 (13%), mentre la Basilicata e l’Umbria sono le regioni con il numero assoluto più basso, facendo registrare rispettivamente 26 seminaristi (1,4%) e 12 (0,7%). I numeri, rilevati dall’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei tramite un poderoso lavoro di raccolta e analisi dei dati che ha coinvolto tutti i Seminari italiani, mostrano una realtà in linea con il calo degli ultimi cinquant’anni. Secondo le statistiche dell’Annuario pontificio, infatti, nell’arco di mezzo secolo le nuove vocazioni in forza alla Chiesa cattolica sono diminuite di oltre il 60% passando dai 6.337 del 1970 ai 2.103 del 2019. E soltanto nei 10 anni che vanno dal 2009 al 2019, la flessione in Italia dei seminaristi diocesani è di circa il 28%.

Una diminuzione che non può essere semplicemente ricondotta all’inverno demografico, se è vero che il decremento della popolazione maschile di età compresa tra i 18 e i 40 anni nello stesso periodo è stato pari al 18%.

“Se mancano le vocazioni non è un problema sociologico, o non soltanto. Somiglia più al sintomo di una malattia della quale trovare una cura. Chiudersi, scansare ogni prova, immunizzarsi contro la vita non sono sicuramente orizzonti nei quali può fiorire la vita - e la vocazione - che ha bisogno di aprirsi, entrare in contatto, affrontare le sfide, correre alcuni rischi. L’Italia è da evangelizzare come è da evangelizzare il cuore di ciascuno, sempre”, osserva don Michele Gianola, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio.

28 anni l’età media
L’età media dei giovani che frequentano i Seminari maggiori è pari a 28,3 anni. Il maggior numero di seminaristi (43,3%) ha un’età compresa tra i 26 e i 35 anni con differenze territoriali evidenti: nel Nord Est il 50% appartiene a questa fascia d’età, ma la percentuale cala man mano che si scende al Centro (43,5%) e al Sud (39,2%). La generazione più giovane - quella tra i 19 e i 25 anni - è rappresentata da 4 seminaristi su 10 (il 42,2% del totale). Un seminarista su dieci (13,6%) ha più di 36 anni. Un solo seminarista su dieci è figlio unico, il 44,3% ha un fratello o una sorella, un quarto ne ha due (25,4%) e uno su dieci ne ha tre (10,8%).
La stragrande maggioranza dei seminaristi ha frequentato le scuole superiori in una struttura statale e uno su dieci in una paritaria. Tra i percorsi formativi offerti il 28,1% ha compiuto studi umanistici-classici, il 26,9% scientifici e il 23,2% si è diplomato in istituti tecnici. Uno su dieci (il 10,8%) ha fatto studi professionali.

Prendersi cura della vocazione
Quasi la metà dei seminaristi (il 45,9%), inoltre, ha frequentato l’università con indirizzi molto variegati e il 43,3% ha lavorato. “La vocazione è un’opera artigianale che ha bisogno dell’apporto di molti per fiorire. Non riguarda solo i tempi più dedicati al discernimento - spiega don Gianola -, come il seminario, ma intreccia il lavoro di molte mani. Più o meno consapevolmente, infatti, ogni cura, ogni azione educativa, ogni passo compiuto insieme nella crescita e nello sviluppo di una vita contribuisce al formarsi della persona. Tutti i luoghi possono così diventare spazi nei quali prendersi cura della vocazione, gli uni degli altri, prendersi cura della persona, intessere quel dialogo di stima e di ascolto che è terreno fecondo per la semina del Vangelo”.

A livello di provenienza geografica, il 10% dei seminaristi proviene da altre parti del mondo e la metà di essi frequenta un Seminario del Centro Italia. L’Africa è il continente maggiormente rappresentato: oltre un terzo dei seminaristi stranieri (38,5%) proviene da queste terre, in particolare da Madagascar, Nigeria, Camerun e Costa d’Avorio. Dal continente europeo proviene circa uno straniero su cinque, in particolare da Polonia, Albania, Romania e Croazia.

“La composizione sempre più multiforme dei nostri Seminari e dei futuri presbitéri impone una riflessione su una proposta educativa capace di discernere e valorizzare la ricchezza che la numerosità delle vie percorse per arrivare a una scelta vocazionale porta con sé. Chi raggiunge il Seminario - conclude don Gianola - porta con sé la propria storia fatta di potenzialità e di limiti, di fecondità e di ferite. Tutto questo, che è la vita, non può non essere preso in considerazione perché è in essa che si può riconoscere - tramite opportuno discernimento - la ‘materia’ che la Chiesa chiede di discernere a tutto il percorso formativo. Assumere uno sguardo vocazionale non significa ‘vedere preti e suore’ dappertutto, ma saper intuire, in ogni contesto, i possibili inviti che lo Spirito ha seminato nel cuore degli adolescenti e dei giovani e affiancare i propri passi ai loro, perché nell’ascolto della Parola possano anch’essi riconoscerli”.

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