Chiesa
stampa

“Tutto quanto aveva per vivere” - XXXII domenica del Tempo ordinario

Per sperimentare la sovrabbondanza della Provvidenza divina non è necessario avere grandi doni e forse nemmeno una fede incrollabile: basta la disponibilità alla condivisione di quel poco che si possiede, come fa la vedova al tempio

“Tutto quanto aveva per vivere” - XXXII domenica del Tempo ordinario

La 71ª Giornata del ringraziamento ci invita a guardare a tutto il creato come a un dono per il quale rendere continuamente lode a Dio; il lavoro dell’uomo è un impegno a “coltivare e custodire” quanto ci è stato affidato, superando ogni tentazione di dominio e possesso, dai quali nascono le ingiustizie, le disuguaglianze sociali e i problemi ambientali.

Ha gettato tutto quanto aveva per vivere

Figure emblematiche nella liturgia della Parola odierna sono due povere vedove che non temono di condividere quel poco che hanno, dimostrando di saper vivere un pieno affidamento al Signore, Dio creatore e provvidente. La protagonista della seconda parte del Vangelo (Mc 12,38-44) viene presentata come riferimento esemplare per tutti coloro che vogliono stare nel tempio: dopo questo episodio, infatti, Gesù non entrerà più nel tempio di Gerusalemme, prendendo definitivamente le distanze da un certo modo di frequentarlo. È lo stile, stigmatizzato nella prima scena del brano odierno (vv. 38-40), di “quegli scribi che” amano essere apprezzati pubblicamente, ma poi commettono ingiustizie nei confronti dei più poveri e deboli, come le vedove: chi desidera stare nel tempio, ossia vivere un’intensa relazione con Dio, non può rimanere insensibile ai poveri. Gesù, infatti, essendo in piena comunione con il Padre, sembra essere l’unico a notare – nella seconda scena del Vangelo – una povera vedova che getta due monetine nel tesoro del tempio (vv. 41-44). Poca cosa, rispetto alle abbondanti offerte fatte dai ricchi; ma un segno straordinario di fiducia in Dio, poiché si tratta di “tutto quanto aveva per vivere” (v. 44).

Fece come aveva detto Elia

Anche nel celebre episodio di Elia la vera protagonista è una povera vedova di Sarèpta di Sidone (1Re 17,10-16). Può sembrare paradossale che il Signore, durante la grande carestia, orientando il profeta verso il territorio della Fenicia, dove probabilmente le condizioni economiche erano leggermente migliori che in Israele, lo mandi proprio presso una vedova povera e con un figlio a carico. Ci saranno state certamente famiglie che avrebbero potuto con maggior facilità farsi carico di lui: ma nel disegno di Dio la richiesta del profeta diventa l’occasione per un dono sovrabbondante proprio a favore di quelle povera donna e del suo figlioletto. Per sperimentare la sovrabbondanza della Provvidenza divina non è nemmeno necessario avere grandi doni e forse nemmeno una fede incrollabile nella Parola: basta la disponibilità alla condivisione di quel poco che si possiede. A ben vedere infatti, non sappiamo se la donna creda davvero alle parole del profeta: “La farina nella giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra” (v. 14). Potrebbe aver pensato che, essendo l’ultimo pasto che le restava da consumare con suo figlio prima di morire, tanto valeva condividerlo con quell’ospite inatteso: il suo distacco da quel poco che ha le fa sperimentare l’affidabilità della Parola di Dio.

Nella pienezza dei tempi

Il brano della Lettera agli Ebrei proposto come seconda lettura (Eb 9,24-28) presenta Gesù come Sommo Sacerdote che entra direttamente nel “vero santuario”, quello del cielo: egli, infatti, può presentarsi direttamente davanti a Dio “in nostro favore”, con l’offerta di un unico sacrificio, mediante il quale annulla il peccato, ossia ciò che ci impedisce di vivere una relazione pienamente riconciliata con Dio e, di conseguenza, anche con tutte le altre sue creature. Questa liberazione dal peccato è già stata realizzata, una volta per sempre, “nella pienezza dei tempi”, ossia quando il Figlio è sceso su questa nostra terra per condividere fino in fondo la nostra esperienza umana, escluso – appunto – il peccato, offrendo la sua vita al Padre per noi, in modo da spalancare le porte per la nostra riconciliazione con Dio Padre. Eppure, come nei tempi in cui è stata scritta la Lettera agli ebrei, anche oggi i cristiani faticano ad accogliere nella fede questa verità, in quanto spesso continuano a sperimentare la presenza del peccato nella propria vita. La “porta aperta” da Gesù, infatti, è una “possibilità”, ma non un “obbligo”: rimane aperta, anzi, spalancata davanti a noi e abbiamo la possibilità di accostarci con fiducia a Dio, ma nessuno di noi è costretto a farlo. L’annuncio del Vangelo ha principalmente l’obiettivo di far conoscere e far desiderare questa opportunità: a ciascuno, poi, la responsabilità di accoglierla o di rifiutarla.

 

Tutti i diritti riservati
“Tutto quanto aveva per vivere” - XXXII domenica del Tempo ordinario
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento