Un anticipo di risurrezione - II DOMENICA DI QUARESIMA - anno B
Gli apostoli e l'esperienza della Trasfigurazione

La seconda domenica di Quaresima, caratterizzata ogni anno dall’episodio della “trasfigurazione”, nel ciclo liturgico B ci invita a porre particolare attenzione sul “Figlio amato” “consegnato per tutti noi”.
Questi è il Figlio mio, l’amato
L’esperienza della trasfigurazione, vissuta da Gesù con tre discepoli “eletti” (Pietro, Giacomo e Giovanni), è collocata dall’evangelista Marco “sei giorni dopo” (Mc 9,2-10): ma dopo che cosa? Questo riferimento cronologico, omesso nella liturgia, rinvia all’episodio nel quale la professione di fede di Pietro, presso Cesarea di Filippo, è seguita dal primo annuncio della passione, morte e risurrezione (Mc 8,27-38): un evento che ha lasciato tutti – Pietro per primo – totalmente impreparati e sgomenti. La trasfigurazione, dunque, come anticipo della risurrezione, costituisce un incoraggiamento fondamentale nel cammino verso Gerusalemme: la morte non sarà il punto di arrivo, ma lo sarà la risurrezione; anche se i discepoli non capiscono ancora di cosa si tratti (Mc 9,10), ora possono almeno intuire che sarà un evento di luce e di rivelazione, qualcosa di pienamente desiderabile, come risulta dalla risposta di Pietro: “Maestro, è bello per noi essere qui” (Mc 9,5).
Nel riferimento ai “sei giorni” si può leggere anche un richiamo all’esperienza di Mosè che, con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani, era salito sul monte per ricevere “le parole del Signore” (Es 24,1.4), quando “la gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni” (Es 24,16). Si può infatti leggere il testo come una “teofania” (manifestazione di Dio) composta alla luce di Es 24, con lo scopo di precisare chi sia veramente Gesù. La nube da cui scende la voce del Padre, tra l’altro, richiama tutto il cammino nel deserto, durante il quale essa copriva la “tenda del convegno” (Es 40,35).
Dalla nube esce una voce che presenta Gesù come “il Figlio mio, l’amato”, con un chiaro invito rivolto ai discepoli: “Ascoltatelo”. Questa voce, che richiama quella udita da Gesù dopo il battesimo al Giordano (Mc 1,11), non ha più Gesù come destinatario principale, ma è rivolta ai discepoli, che sono invitati ad ascoltarlo e a fidarsi di lui.
Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami
La liturgia evidenzia un ulteriore richiamo all’AT, poiché Gesù “Figlio amato” richiama Isacco, figlio amato di Abramo (Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18). La scena, drammatica, si risolve con l’intervento dell’angelo che ferma la mano di Abramo prima che abbassi il coltello sul proprio figlio, in obbedienza a un incomprensibile comando di Dio. Quel figlio era quello desiderato, atteso per lunghi anni a motivo di una promessa di Dio. Era l’unigenito, l’amato, il segno della fedeltà di Dio alle sue promesse: la disponibilità a sacrificarlo per il Signore non poteva nascere che da una fede incondizionata in quel Dio che, pur tra tante sofferenze, e dopo lunga attesa, si era dimostrato capace di compiere pienamente quanto annunciato. Ma al posto di quel figlio viene donato ad Abramo un ariete, affinché lo possa offrire a Dio il quale, diversamente dalle divinità antiche, non chiede mai il sacrificio umano: è Lui che dona il proprio Figlio per l’uomo.
Non ha risparmiato il proprio Figlio
Proprio quest’ultimo dato è l’argomento più convincente che Paolo offre ai cristiani di Roma: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per noi” (Rm 8,31b-34). Perché queste parole di incoraggiamento? Che cosa potevano temere le giovani comunità di Roma? Dopo aver loro annunciato la bellezza e la novità della vita nuova nello Spirito, mediante il quale i credenti si possono riconoscere “figli adottivi”, arrivando a gridare a Dio “Abbà, Padre” (Rm 8,15), l’Apostolo aveva anche precisato che “se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8,17). La sofferenza del tempo presente coinvolge – come appare evidente in questo tempo – tutta la creazione; però non si tratta del punto di arrivo, ma di un passaggio intermedio – per quanto obbligato – che condurrà alla “gloria futura” (Rm 8,18). Dare credito ai segni di “vita nuova” che già possiamo sperimentare in Cristo, in forza del dono che Dio ha fatto a noi del suo Figlio, ci permette di camminare con fiducia, in attesa di una vittoria sicura “la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada” (Rm 8,35).
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