Una notizia di libertà e di gioia - III Domenica del T.O.
Nella sinagoga di Nazareth il discorso “programmatico” di Gesù

Quando si inaugura una nuova stagione parlamentare viene pronunciato dal primo responsabile un discorso che espone il programma di governo. Analogamente anche Gesù, all’inizio della sua missione pubblica espone le linee guida della sua futura azione. Sorprendentemente, però, per pronunciare il suo discorso programmatico non sceglie la città santa e in essa il luogo più santo, il Tempio, come neppure i circuiti alternativi della religiosità quale il deserto o il monastero degli Esseni a Qumran. Gesù invece torna “dove era stato allevato”, nel suo insignificante villaggio di Nazareth, le cui quotazioni non erano così alte, se si mormorava: “Che cosa può venire fuori di buono da Nazareth?”.
Portare ai poveri il lieto annuncio. Ed ecco, un sabato, Gesù “entrò secondo il suo solito nella sinagoga”. Qui davanti alla sua gente, al suo clan familiare, legge e commenta uno dei passi della scrittura più carichi di attesa di cambiamento, la cui lettura era prevista proprio in quel giorno. E’ il testo in cui il profeta Isaia presenta i tratti e gli obiettivi di colui che si presenterà come il Messia, e Gesù non esita a presentare se stesso come l’atteso Messia. Nella sinagoga gli sguardi sono tutti puntati su di lui. Che cosa dirà questo loro paesano, figlio di un falegname, da qualche tempo diventato famoso?
Ed ecco che il grande programma viene annunciato: “Portare ai poveri il lieto annuncio, proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, rimettere in libertà gli oppressi, predicare il tempo della grazia del Signore”. Non finiremo mai di lasciarci toccare da queste parole. Ci siamo troppo corazzati con l’immagine di un Dio unicamente preoccupato di mantenere l’ordine pubblico, sempre pronto a varare norme e decreti di sicurezza… più per lui, che per noi. Un Dio sempre pronto a far giustizia secondo i nostri criteri umani.
Che invece il cristianesimo sia una grande esplosione di libertà e di gioia non fa proprio parte di un certo immaginario religioso cristiano. Che questa gioia abbia come primi destinatari coloro che sono più fragili nella vita (non solo fisica, ma anche morale e spirituale) ancor meno.
Una gioiosa notizia per “oggi”. Non a caso Gesù sceglie il suo bistrattato villaggio per annunciare la gioia di un Dio che vuole fare di tutto per renderci felici come Lui, perché la bella notizia di un Dio liberatore ha bisogno di risuonare, dentro le schiavitù in cui ci troviamo. E’ una gioiosa notizia che non ha più bisogno di essere attesa, perché è proprio “oggi” che si realizza. Ogni giorno della nostra bistratta vita diventa l’oggi di Dio, del dono della sua gioia. Che fare allora? Quello che si fa quando si riceve un dono insperato: accoglierlo con immensa gratitudine, perché questa notizia di libertà profonda non è un’informazione, bensì provoca una trasformazione. La bella gioiosa notizia del Vangelo, la liberante notizia non è fatta di parole, è Gesù stesso. Il Dio con noi.
Non c’è una “Nazareth” della vita così povera in cui Cristo non possa giungere a donarci ciò che di più necessario il nostro cuore attende, un amore immeritato e liberante. Se anche noi come i presenti nella Sinagoga sapremo “tenere gli occhi fissi su di Lui”, nell’ascolto della sua parola, nella comunione con la sua presenza eucaristica e nell’accoglienza di ogni fragilità e povertà umana, con stupore scopriremo che proprio nel nostro oggi Gesù si fa presente, liberandoci da noi stessi.
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