Una salvezza senza confini - IV domenica del Tempo ordinario
L’amore di Dio si può solo accogliere con cuore umile, non “rivendicare”

Non c’è nulla di peggio del pensare di sapere tutto, per mettere in luce la propria ignoranza. Se poi si ritiene di conoscere tutto di una persona, solo perché da tanto tempo la si frequenta, ci si chiude alla possibilità di capire chi sia veramente.
La stessa cosa accadde gli abitanti di Nazareth. Non riuscivano a capire come colui che avevano visto crescere e vivere per trent’anni nel loro piccolo e insignificante villaggio potesse arrogarsi l’identità di Messia.
Gli sconfinamenti di Dio
Gesù, percepisce la loro incredulità e avverte la sfida che gli stanno lanciando: “Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo adesso anche qui nella tua patria… Facci un miracolo!”. La memoria di Gesù va allora agli antichi profeti, in particolare a due di loro: Elia ed Eliseo, che hanno operato oltre i confini e le dogane della religione ebraica. In un tempo di carestia Elia è stato lo strumento della misericordia di Dio per una povera vedova straniera e pagana. Il profeta Eliseo, tra i tanti lebbrosi presenti in Israele, ha guarito Naamam, un lebbroso venuto dalla Siria.
Il tempo di grazia che il Signore è venuto ad inaugurare non conosce limiti territoriali e religiosi. L’amore di Dio non è proprietà di nessuno. Nessuno può rivendicarlo in base a particolari meriti. Lo si può solo accogliere con cuore umile. Forse non c’è ostacolo più forte di quello di una religiosità sicura di sé, compiaciuta delle proprie tradizioni, riti, ripiegata su se stessa e per questo incapace di riconoscere le manifestazioni del Signore.
Mistero di discrezione
Gli abitanti di Nazareth, e noi con loro, si stupiscono e si scandalizzano di fronte al mistero di discrezione e di nascondimento in cui Dio si avvolge. Lo scandalo di Nazareth conosce edizioni sempre attuali nella Chiesa. Come per i suoi compaesani Gesù sembra essere troppo conosciuto e ovvio. Ci vuole qualcosa di nuovo, di più attraente. “Fa’ qualche miracolo, qualche segno che ci scuota e scuota il mondo, che ci sorprenda. La gente non si interessa più di Te se non li stupisci con qualche attrazione…”. Talora è ciò che capita nelle nostre celebrazioni eucaristiche quando pensiamo che siano le modalità più attraenti e partecipative a risvegliare l’interesse… Forse per qualche tempo l’interesse potrà anche riaccendersi, ma per spegnersi ben presto. Ciò che non si riaccende è la fede. Che altro è la fede se non l’umile, quotidiana adesione a Colui che non finisce mai di farsi vicino a noi in ogni fragilità e povertà umana, a partire dalla nostra? Non c’è “miracolo” più grande del riconoscere Cristo dentro ogni storia segnata da ferite e miserie.
Il rifiuto dei “suoi”
Il ritorno di Gesù a Nazareth termina in un modo che ci è difficile comprendere: i suoi paesani sembrano presi da una furia omicida, vogliono gettarlo giù dal precipizio. Perché tanto accanimento?
In questo tentativo di eliminazione già si anticipa il tempo del rifiuto e dell’eliminazione finale di Gesù. “Venne tra i suoi, ma i suoi non lo hanno accolto”, dirà l’evangelista Giovanni. Non leggiamo, però, al passato quanto è scritto nel Vangelo. È difficile ed è duro dirlo, ma il pericolo più grande, il Cristo, ieri come oggi, lo corre tra i suoi.
Santa Teresa di Gesù Bambino lo avvertì con angoscia quando scrisse: “Gesù mi ha fatto sentire che esistono davvero tante anime senza fede, le quali per l’abuso delle grazie hanno perduto questo tesoro immenso, sorgente delle sole gioie pure e vere”.
Eppure, Cristo continua ad aprire sempre un varco di speranza, anche davanti alle resistenze più oscure. Così come è “passato in mezzo” a coloro che a Nazareth volevano eliminarlo, passerà attraverso la morte. Dietro a Lui ogni povero della terra potrà dire: “Non temerò alcun male, perché Lui è come me” (Salmo 22).
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