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Una vigilanza che fa spazio - I Domenica di Avvento

Tempo di preparazione alla “venuta” del Signore

Una vigilanza che fa spazio - I Domenica di Avvento

Con la Prima Domenica di Avvento inizia il nuovo Anno liturgico, che sarà accompagnato dalla lettura del Vangelo di Marco. Questo commento seguirà lo schema ormai consolidato: presentazione del brano evangelico nel suo contesto proprio, interpretazione alla luce della prima lettura e qualche spunto di riflessione dalla seconda lettura.

Fate attenzione, vegliate

Come l’evangelista Matteo, anche Marco colloca un ultimo discorso tra il momento nel quale Gesù esce dal tempio di Gerusalemme (Mc 13,1-2) e l’inizio del racconto della passione (Mc 14,1–15,47). Prendendo spunto dall’annuncio profetico della distruzione del tempio, che avverrà circa quarant’anni dopo, invita a non lasciarsi ingannare da coloro che affermano di conoscere il momento della fine, incoraggiando i discepoli a rimanere nella storia anche di fronte alle catastrofi naturali, come terremoti e carestie, alle sciagure provocate dagli uomini, come le guerre, e alle persecuzioni, che certamente ci saranno. Proprio quando il male sembrerà prevalere si manifesterà pienamente il “Figlio dell’uomo”. Con la parabola del fico, che mettendo le foglie annuncia l’avvicinarsi della primavera, i cristiani sono incoraggiati a leggere anche questi come “segni positivi”: “sappiate che egli è vicino, alle porte” (Mc 13,29b), anche se nessuno conosce il momento in cui si realizzerà pienamente la vittoria sul male che c’è nel mondo.

Il discorso si conclude con un brano nel quale si raccomanda l’unico atteggiamento possibile: quello della vigilanza (Mc 13,33-37). L’Avvento, infatti, è un tempo di preparazione alla “venuta” del Signore nel quale i cristiani sono invitati a porre maggiore attenzione alla propria quotidianità, non tanto per prepararsi ai “festeggiamenti” del Natale, quanto piuttosto per creare uno spazio di disponibilità interiore, facendo memoria della sua nascita, per saperlo riconoscere nel presente e poterlo accogliere nel momento in cui verrà.

Ritorna, per amore dei tuoi servi

Egli si paragona a un padrone che affida a ciascuno dei suoi servi una mansione specifica nella custodia della sua casa: chi ha il compito di “portiere” ha una responsabilità maggiore, però non tocca solo a lui vegliare: “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”. Ciascun discepolo è chiamato a vivere in atteggiamento di vigilanza, affinché possa davvero la venuta del Signore quale “tempo favorevole”, come indica il termine greco kairós. Il non sapere “quando” tornerà nella sua casa, infatti, non costituisce un pericolo, né il tono complessivo della liturgia appare caratterizzato dalla “minaccia”: al contrario, si tratta di un evento atteso e desiderato, come mettono bene in evidenza sia la prima lettura (Is 63,16-b-17.19b: 64,2-7) che il Salmo 79. Isaia, ricordando quanto Dio ha già operato a favore del suo popolo, di fronte alla constatazione del suo peccato, pone una domanda che sembra un affettuoso rimprovero: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna, per amore dei tuoi servi”. Il profeta ben sapendo che il popolo sperimenta le conseguenze delle proprie ribellioni e ingiustizie, si lascia andare a un’invocazione accorata (Se tu squarciassi i cieli e scendessi), per concludere con un implicito atto di affidamento: “Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma”. La disponibilità a lasciarsi “plasmare” da lui possa accompagnare ogni cristiano.

Degno di fede è Dio

Scrivendo ai cristiani di Corinto, alla metà degli anni 50 del primo secolo (1Cor 1,3-9) anche san Paolo parte, innanzitutto, dalla memoria riconoscente nei confronti di Dio, che ha ricolmato quella comunità di “tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza”. Come si comprenderà nel prosieguo della lettera, però, tale sovrabbondanza costituisce anche un pericolo, in quanto la compresenza di diversi “carismi” stava rischiando di provocare profonde divisioni interne. Prima di esortarli ad “essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire” (1Cor 1,10), annuncia che tutto questo “è possibile”, perché “Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione”. Anche se i cristiani sperimentano con dolore la propria incapacità di gioire per i doni presenti negli altri fratelli, tale ricchezza, essendo voluta da Dio, può essere ricondotta al bene di tutti, se ciascuno continuerà a cercare di rispondere a “colui che chiama”.

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