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“Voi valete più di molti passeri” - XII domenica del Tempo Ordinario

Gesù incoraggia i suoi all’annuncio invitandoli a non temere neppure la morte

“Voi valete più di molti passeri” - XII domenica del Tempo Ordinario

Riprende il Tempo Ordinario con la lettura quasi continua del Vangelo di Matteo, illuminato dal Salmo responsoriale e dalla prima lettura, tratta da testi dell’Antico Testamento. La seconda lettura, invece, seguirà per alcune settimane il testo della Lettera ai Romani.

Non abbiate paura degli uomini

Il brano evangelico odierno (Mt 10,26-33) ci porta alla fine del “discorso missionario”: Gesù aveva chiamato a sé i dodici discepoli inviandoli ad annunciare il “regno dei cieli” alle “pecore perdute della casa di Israele” (Mt 10,5-6): da cui l’altro nome dato loro di “apostoli-inviati”. Le parole ascoltate, dunque, sono rivolte prima di tutto agli apostoli – che sono sempre anche dei discepoli – affinché siano pronti ad affrontare la missione; ma destinatari di questo capitolo sono anche i primi cristiani, che erano stati (ed erano) messi alla prova da varie forme di persecuzione, e per i quali l’evangelista scrive verso la metà degli anni 80 del I secolo.
Gesù li aveva avvertiti: il suo messaggio, inizialmente riservato a pochi, dovrà essere annunciato “dalle terrazze”, cioè si diffonderà in tutto il mondo; ma troverà una dura opposizione. Però, non c’è motivo di temere: se Dio si prende cura di “due passeri”, volete che non prenda le difese di chi accetta di mettere a rischio la propria vita per realizzare la missione affidatagli? Certo, gli uomini, che possono mettere a morte “il corpo”, incutono timore; ma solo Dio ha il potere di salvare “anima e corpo”, ossia l’uomo nella sua integrità.
Ma se la morte fisica è facilmente “verificabile”, la “salvezza” integrale, invece, si potrà constatare solo “dopo”. Come incoraggiare il discepolo di ogni tempo a “riconoscere” Gesù pubblicamente anche quando ciò comporta un concreto pericolo per la sua vita, il suo lavoro, o anche solo per il suo “riconoscimento” pubblico? “Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri” (Mt 10,31). La forza dell’annuncio poggia su questa promessa di Gesù, unita alla constatazione che, come risulterà nei capitoli successivi del Vangelo, egli stesso ha sperimentato il rifiuto e la persecuzione, fino alla morte: ma la sua vita non è andata perduta, poiché egli continua a vivere e a far vivere!

Il Signore è al mio fianco

L’esperienza del profeta Geremia (Ger 20,10-13) conferma che da sempre colui che annuncia schiettamente la Parola del Signore sperimenta l’ostilità degli uomini, i quali non tollerano di ascoltare chi prova a metterli in discussione nelle proprie scelte sbagliate. Ma proprio la sofferta esperienza di questo grande profeta conferma che il Signore libera “la vita del povero dalle mani dei malfattori” (Ger 20,13). Ciò non toglie che, come suggerisce il Salmo responsoriale, chi è provato a causa della sua fedeltà al Signore senta il bisogno (e abbia il diritto) di invocare con insistenza l’aiuto di Dio: “nella tua grande bontà, rispondimi, nella fedeltà della tua salvezza”.

Il dono di grazia non è come la caduta

La lettera ai Romani è giunta a uno snodo centrale: dopo aver annunciato che Dio, pur potendo esercitare sugli uomini una giustizia di tipo retributivo (punendo gli empi e premiando i giusti, Rm 1,18–3,20), nel Vangelo ha rivelato di voler donare una giustizia diversa, che non dipende dalle opere degli uomini, ma dalla loro disponibilità ad accogliere la grazia che il Signore offre: quella di poter vivere come “figli” di Dio (Rm 3,21-31). La “giustificazione”, infatti, consiste nell’essere riportati a questo corretto rapporto con Dio che nessuno può realizzare con le proprie forze, ma che può essere solo donato, come dimostra l’esperienza di Abramo, “reso giusto” per fede (Rm 4,1-26).
Nel capitolo quinto, di cui leggiamo la seconda parte (Rm 5,12-15), l’Apostolo descrive le conseguenze della “giustificazione” mostrando come siano legate al dono “concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo” (Rm 5,15). Per Paolo è evidente che “tutti hanno peccato”, per il fatto che “tutti muoiono”, giusti e ingiusti, anziani e, purtroppo, anche bambini; ciò non avviene per “colpa di Dio”, ma “a causa di un solo uomo” (Adamo). Ma se è bastata la disobbedienza di uno solo perché tutti gli uomini fossero immersi nel peccato, molto più l’obbedienza “del solo uomo Gesù Cristo” permetterà che la grazia si riversi su tutti gli uomini. Il Figlio di Dio, nella sua umanità, realizza quell’obbedienza al Padre che Adamo non era riuscito a vivere: in forza di ciò, dunque, chiunque rimane in comunione con il Figlio potrà sperimentare la stessa relazione filiale di Gesù.

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