DOSSIER NATALE: Kenya, dove si viene alla luce nel buio
Lo racconta Margherita Zannier, fresca di laurea in medicina, ora tirocinante all’ospedale di Montebelluna, ricordando l’esperienza di questa estate all’ospedale di Matiri.

Proprio quella notte il generatore doveva saltare di nuovo. Già la situazione era abbastanza critica, ci mancava solo dover operare con la pila frontale a led, mentre tutto attorno regnava il buio. Eppure il bimbo aveva deciso di nascere e le contrazioni della donna facevano ritenere che ormai era giunta l’ora. “Abbiamo dovuto decidere velocemente a causa di una complicazione. E così le è stato praticato il cesareo. Alla fine è andato tutto bene”.
Vivere è una continua sfida
Lo racconta Margherita Zannier, fresca di laurea in medicina, ora tirocinante all’ospedale di Montebelluna, ricordando l’esperienza di questa estate all’ospedale di Matiri, Kenya.
“Tutto lì è una sfida per conquistare il diritto alla salute, cioè a vivere: l’ago che si rompe, il ferro storto, il filo ingarbugliato, la luce che va e viene. E non solo, i macchinari insufficienti, le condizioni igieniche precarie, la povertà che divora. Eppure tutto lì, è un inno alla vita, nella capacità di resistere, di diventare resilienti”.
Lì è appunto Matiri, nel cuore del Tharaka, una regione del nordest del Kenya dove il termometro sfonda spesso i 40 gradi all’ombra e il paesaggio non ha nulla di paradisiaco, disseminato com’è di colline e neri massi vulcanici, erba bruciata dal sole, cespugli spinosi e serpenti velenosi.
L’ospedale Sant’Orsola è entrato in funzione all’interno della missione cattolica di Matiri nel 2003. Fin da subito, si è trovato, a seguito del riconoscimento formale del ministero della sanità keniota, a fronteggiare tutte le esigenze di carattere sanitario di un bacino di utenza di circa 150.000 abitanti.
“Sono preparati nella cura delle malattie infettive, nel settore ortopedico, hanno la sala parto – racconta ancora Margherita -. Su altri fronti mancano di esperienza, competenze e, purtroppo, anche macchinari per la diagnostica e la cura. La risonanza magnetica non si può fare, analisi del sangue specifiche nemmeno, figurarsi una biopsia”.
Tuttavia, gli ambulatori in larga parte sono dedicati anche ai pazienti esterni che ogni giorno, già dall’alba, affollano l’ospedale. Per chi non ha la possibilità di arrivarci, per problemi di distanza e mancanza di mezzi di trasporto, è a disposizione una “clinic mobile”, cioè una jeep attrezzata, con medicinali e latte in polvere, su cui prendono servizio a turno tre volte a settimana gli infermieri dell’ospedale e i volontari, in modo da raggiungere tutti i villaggi della diocesi, anche quelli più sperduti. I poveri, del resto, fino al Sant’Orsola non ci arrivano nemmeno.
“Mi sono laureata questa estate in medicina a Padova – prosegue Margherita, 25 anni festeggiati domenica scorsa, cresciuta all’ombra del campanile di Busta di Montebelluna, animatrice parrochiale per diversi anni -. Un mio zio che partecipa all’Associazione volontari insieme (Avi) mi ha parlato a lungo di questa realtà. E io, negli anni dello studio universitario, ho maturato l’idea di partire, una volta acquisite le competenze di base per poter essere utile e dare una mano”.
Come moltissime altre, anche la sua è stata una esperienza intensa, formativa, di quelle che permettono di radicare poi la vita quotidiana su scelte di giustizia sociale, solidarietà, cura delle relazioni.
“Ed è stata per me anche l’occasione di confrontarmi con l’impotenza: ho visitato delle persone immaginando cosa potessero avere e tuttavia non disponendo degli strumenti per diagnosticarlo; ho assistito donne abbandonate perché si erano fratturate e, dunque, non più «utili» per la propria famiglia; e mi sono scontrata anche con convinzioni culturali che ho fatto tanta fatica ad accettare”.
Sul sito dell’associazione con cui Margherita è andata in Kenya si legge: “Per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. Significa che un neonato rappresenta un impegno per tutta la società che lo circonda, che tutto il villaggio si deve adoperare per garantirgli un futuro. Perché una nuova vita è una ricchezza per tutti. Ed anche se facciamo fatica a ricordarcelo, noi in occidente, quel bambino (Bambino) con cui inizia la nostra storia è ricchezza anche per noi.
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