Quanto bene nell'attesa/Storia 5: Laboratorio di restauro
Il coraggio di Enrico De Bortoli di aprire in piena pandemia. Un progetto di co-working con altri artigiani: "Mettersi insieme consentirebbe di attrarre lavoro e non di andare, ognuno per conto proprio, a cercare lavoro"

Una laurea in Scienze politiche nel cassetto, un diploma di tecnico restauratore, esperienze con una ditta restauri di Pordenone, anche all’estero, a Malta per la precisione, e ora la partita Iva con l’adesione alla Cna di Treviso per aprire, a ottobre, in piena pandemia, il proprio laboratorio di restauro a Trevignano. A dire la verità Enrico De Bortoli, trentenne trevigiano, il proprio laboratorio l’avrebbe già aperto lo scorso marzo, se il Covid non avesse stroncato allora i suoi progetti. Ma il desiderio è così forte che non è stato piegato dalla pandemia: “Il mio progetto è di dar vita a un co-working con altri artigiani legato al mondo del restauro. Che ha molti campi in cui esiste la specializzazione, come la pulitura, il consolidamento strutturale e tutte le tecniche da utilizzare. Mettersi insieme consentirebbe di attrarre lavoro e non di andare, ognuno per conto proprio, a cercare lavoro”, ci spiega Enrico. Molte professionalità in unico posto consentirebbero anche di ridurre i costi per il committente e ai restauratori artigiani di avere un giusto compenso e di non venire sottopagati, come spesso accade ora.
Enrico, nell’attesa di dar vita a questo co-working, progetto che non ha chiuso nel cassetto insieme alla laurea, si sta specializzando nelle tarsie. “L’intarsio non è più attuale, richiede molto tempo e molta dedizione, sono scomparsi gli artigiani che erano dediti a questa tecnica. Io voglio dedicarmi a questo tipo di decorazione, promuoverla attraverso la pagina che sto aprendo proprio in questi giorni in Internet”. Su www.laboratorioedera.it a breve sarà possibile vedere i suoi lavori. Con lo stesso nome, felice acronimo di Enrico De Bortoli ebanista restauratore antichità, si possono trovare pagine su Facebook e Instagram.
“Ho l’ambizione di provare, in attesa che la crisi si risolva e ci siano più possibilità, portando avanti i miei due obiettivi: il recupero delle tecniche antiche e l’ecosostenibilità. Io uso legni che provengono dal mio territorio, alcuni anche dal mio campo, a km0”.
La sfida di Enrico è quella di non inseguire per forza l’industria del mobile dove la vernice viene data dalle macchine e l’operatore inserisce solamente il legno. “Forse alla fine la mia opera avrà dei difetti rispetto al laser, ma sarà unica ed ecosostenibile. La mia è anche un’opera culturale per far riconoscere l’importanza e il valore del lavoro artigianale”.
E’ anche la cultura italiana del restauro che non distrugge e rifà, come succede all’estero, ma “consolida quello che rimane e valuta come integrarlo col nuovo”, dopo attenti studi. E’ il motivo per cui il nostro patrimonio artistico non conosce eguali nel mondo.
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento