La rinascita della Lega e i grattacapi del Pd
Dopo la vittoria Zaia ha affermato che “il nostro grande risultato ci impone di dare risposte ai veneti che non amano le pastette o gli accordini”. Lo prendiamo in parola.

Matteo Renzi, nonostante il suo partito abbia conquistato il governo di 5 regioni su 7, esce un po’ bastonato da questa tornata elettorale: rispetto alle Europee ha perso circa 2 milioni di voti (per la verità è successo un po’ a tutti di perdere voti, a causa del grande astensionismo). Brucia la sconfitta in Liguria a favore di Giovanni Toti di Forza Italia sostenuto dalla Lega, seppur compensata dalla misurata conquista della Campania; brucia pure la perdita di circa 6 punti in Veneto rispetto alle regionali del 2010.
Sembra che nella nostra regione per il Pd non ci sia storia. Il consenso è precipitato al 23%, percentuale che riusciva a raggiungere senza fatica anche il vecchio Pci. La ex regione bianca rimane saldamente verde e lo schiacciante successo di Zaia fa pensare che sia possibile in Veneto ridare fiato alla vecchia aspirazione leghista di assumere un ruolo simile a quello della Cdu Bavarese. Un consenso di oltre il 50% unito al buon risultato generale riportato da Salvini dopo la crisi della gestione Bossi-Cerchio magico, testimonia che la Lega riesce ancora ad intercettare (e a interpretare) le esigenze di un ampio strato sociale e culturale, costituito anche da cristiani delle nostre parrocchie, che non può più essere semplicemente identificato con la ribollente pancia del Paese.
Dopo la vittoria Zaia ha affermato che “il nostro grande risultato ci impone di dare risposte ai veneti che non amano le pastette o gli accordini”. Lo prendiamo in parola.
L’elettorato è evidentemente sensibile alle proteste di Salvini sul problema dell’immigrazione e contro l’eurozona. Vogliamo però ricordargli che sono anche gli stessi elettori che nelle parrocchie non vogliono veder chiudere la scuola materna paritaria; che protestano perché vengono sempre più tagliati i fondi destinati all’assistenza delle fasce sociali deboli e povere; e che, alla fin fine, di inaugurazioni di sagre e mostre enogastronomiche non sanno che farsene.
Le pene del giovane Matteo
Con la sconfitta in Veneto per il Pd, come dice da tempo Massimo Cacciari, si ripresenta di nuovo la “questione settentrionale”, legata alle aree economicamente produttive del Lombardo-Veneto, nelle quali il partito non riesce a incidere e a elaborare una strategia e una cultura. Il Nord produttivo e, nonostante la crisi, ancora volano dell’economia, sembra destinato a rimanere saldamente in mano alla Lega e al Centrodestra, evidenziando così la spaccatura sociale, politica e culturale che esiste tra Nord e Sud del Paese.
Per Renzi, tuttavia, non è questo il problema più immediato e urgente. Il suo Pd arretra e per la prima volta perde un po’ di smalto l’immagine dell’uomo convincente e vincente. Matteo paga sia lo scotto di un ormai lacerante conflitto interno con la sinistra del partito, sia quello di non avere il controllo delle sedi periferiche. Problemi messi sempre più spesso in risalto dal bailamme che si crea in occasione delle primarie dove chi perde non ci sta, rema contro e alla fine porta acqua al mulino del fronte opposto. Emblematico è il caso della Liguria, dove la vincitrice delle primarie, Raffaella Paita, ha dovuto fare i conti con divisioni irresponsabili e “il cinico disegno di Cofferati, Civati e Pastorino” che hanno spaccato l’elettorato di centrosinistra a tutto vantaggio di Giovanni Toti. Una casa divisa in se stessa prima o poi comincia a perdere pezzi e poi crolla. Ne sta facendo le spese Forza Italia. Può darsi che sia questa la china pericolosa su cui sta scivolando anche il Pd.
Il solito autolesionismo
Renzi, nonostante abbia una maggioranza forte nel partito, non riesce a governare la vecchia sinistra che si è formata alla scuola della Fgci e nei comitati centrali e periferici del Pci e che, paradossalmente, ora è diventata allergica ad ogni disciplina di partito, al punto da mettere in difficoltà il Governo ogni qualvolta esso pone il voto di fiducia su temi controversi. Da qui l’irritazione di Renzi verso la Presidente dell’Antimafia, e sua tenace avversaria interna, Rosy Bindi, per l’uso strumentale che avrebbe fatto della Commissione alla vigilia del voto al fine di “regolare i conti nel partito”.
Non sappiamo se il chiarimento interno al Pd avrà esito positivo o se sarà invece una vera resa dei conti. L’accusa incalzante che la sinistra rivolge a Renzi di fare politiche di destra fa pensare ormai ad una fuoriuscita dei dissidenti per dar vita ad un nuovo soggetto politico e mettere in crisi per l’ennesima volta un proprio governo di centrosinistra. Sarebbe l’ulteriore conferma della vocazione autolesionista della sinistra italiana.
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