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Congo, terra spremuta

Non cessano le violenze nel Paese. Domenica 14 marzo 15 persone sono state massacrate a colpi di machete dai ribelli dell’Adf (Forze democratiche alleate) nel territorio di Beni, Nord Kivu, la regione della Repubblica democratica del Congo dove è stato ucciso il 22 febbraio scorso l’ambasciatore Luca Attanasio. Il padre comboniano Eliseo Tacchella, veronese a lungo in missione nel territorio, racconta la situazione e il suo rapporto con il diplomatico

Congo, terra spremuta

“Non ci siamo mai conosciuti di persona, ma avevamo un bel rapporto, ci scrivevamo spesso, l’ultima volta a Natale, conservo i messaggi audio. La sua morte mi è dispiaciuta tantissimo”. A parlare così di Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo ucciso nelle scorse settimane nella regione del Kivu, assieme al carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e al loro autista, Mustapha Milambo, è il padre comboniano Eliseo Tacchella, veronese, che è stato a lungo in Congo, proprio nel martoriato Kivu dove domenica 14 marzo altre 15 persone sono state massacrate dai ribelli dell'Adf (Forze democratiche alleate).

“Attanasio è arrivato a Kinshasa nel 2017, ma io ero dall’altra parte del Paese, poi sono tornato in Italia. E’ stato lui a cercarmi, voleva conoscere la realtà del Kivu, era preoccupato, voleva saperne di più. Era una persona squisita, impegnatissimo nel sociale, così come la moglie. Aiutava i missionari, era per loro un punto d’appoggio. E quando girava il Paese, dormiva spesso nelle missioni. Anche prima di morire, era dai Saveriani a Bukavu”.

Padre Tacchella, da conoscitore del territorio dove Attanasio è stato ucciso, esprime un parere sulle prime indagini e ricostruzioni dell’accaduto: “Chiaramente le mie sono solo impressioni, posso solo fare delle congetture. I giornali hanno detto tutto e il contrario di tutto, si è parlato di una sparatoria… Ma io mi chiedo, che sparatoria è quella in cui muoiono solo quelli di una parte? Attanasio, il carabiniere e l’autista… Possibile, se si sono difesi, che siano stati colpiti solo loro? Io, francamente, anche se si tratta solo di un’impressione, credo poco a questa versione. Io penso che i colpi su Attanasio siano stati mirati. Forse stava cercando qualcosa, alcuni dicono che aveva un dossier sull’esistenza di fosse comuni. Lì nel Kivu ci sono interessi enormi”.

La regione, teatro di una guerra civile iniziata nel 2004, continua a essere teatro di conflitti. “E’ un territorio ricchissimo - prosegue il missionario comboniano -. Ma fanno di tutto per mantenerlo in schiavitù. E’ l’emblema dell’Africa, che non è una terra povera. E’, invece, una terra ricchissima, ma impoverita. Sono stato per trent’anni in Congo, e negli ultimi quattro anni nel Kivu. Laggiù sono presenti da anni i Caschi blu dell’Onu, ventimila persone. Eppure, prosegue la guerriglia, i gruppi armati sono padroni. Com’è possibile? L’Onu è presente con uomini e mezzi molto sofisticati da più di vent’anni. Lo dico per esperienza diretta, mi è capitato di girare sugli aerei dell’Onu. Dietro c’è una grande organizzazione. Ma non si fanno grandi passi in avanti. A un certo punto è arrivato un bravo colonnello, che in poco tempo ha fatto cose fantastiche, ma è stato ben presto sostituito. Evidentemente, in tanti vogliono che in Kivu regni il disordine”.

Sono tante le risorse di quel territorio, “soprattutto il coltan, che serve per i nostri telefonini. Dico sempre che tutti noi il Congo ce l’abbiamo in tasca. E poi la terra, non solo per il fenomeno del landgrabbing, l’appropriamento di grandi superfici per attività agricole intensive, ma anche per gli sfollati del Ruanda, che hanno bisogno appunto di terreni. 2.500 persone sono morte nei massacri di questi anni. Le dinamiche sono molto complesse. L’Onu vede, è impossibile il contrario, ma non si pronuncia”.

Chi invece parla, sempre più spesso è la Chiesa. I missionari, ma anche le diocesi e il clero locale, “dove sta molto crescendo la sensibilizzazione, l’attenzione alle tematiche della giustizia sociale - afferma padre Eliseo -. Dai vescovi sta arrivando un appoggio molto forte.

“La situazione della sicurezza nel nostro Paese, soprattutto nella parte orientale resta pericolosa e aggravata dalla presenza di gruppi armati che l’esercito nazionale, sostenuto dalla Monusco”, la Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo, “non è ancora in grado di sradicare”, hanno affermato i vescovi della Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco), in un messaggio pubblicato al termine della riunione del consiglio permanente che si è svolto dal 22 al 25 febbraio a Kinshasa.

Conclude padre Tacchella: “L’Africa è vittima di uno sfruttamento terribile di risorse, e si vuole mettere tutto sotto silenzio. Bisognerebbe riuscire a romperlo con azioni forti. Ricordo la campagna di qualche anno fa contro i palloni da calcio prodotti con il lavoro minorile. In questo caso è impossibile pensare a un boicottaggio dei cellulari, ma bisogna pensare a qualcosa che abbia un forte impatto”.

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