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Dhaka, intervista a mons. Catterin "Il Bangladesh vive un momento difficile"

Giunte in Italia le bare avvolte dalla bandiera tricolore dei nostri connazionali vittime dell'attentato di Dhaka. Intervista al nostro sacerdote trevigiano, che ha prestato servizio in nunziatura nella capitale del Bangladesh fino a qualche mese fa e conosceva alcune delle vittime.

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Dhaka, intervista a mons. Catterin "Il Bangladesh vive un momento difficile"

Nove bare avvolte nella bandiera italiana hanno riportato in Italia, martedì 5 luglio, le salme dei nostri connazionali vittime del commando terrorista, probabilmente dell’Isis, che il 1° luglio, è penetrato nel locale “Holey Artisan Bakery”, a Gulshan, quartiere diplomatico di Dhaka, la capitale del Bangladesh. Alla fine di ore e ore di trattative con i terroristi (uccisi, tranne sembra un arrestato) i morti tra i sequestrati saranno venti, di cui 9 italiani e 7 giapponesi. Per un incredibile disegno del destino, due nostri connazionali si sono salvati.
A seguire le fasi della trattativa con i terroristi e poi il blitz delle forze speciali, fisicamente lontano ma vicino con affetto e preoccupazione, c’era anche mons. Massimo Catterin, attualmente segretario di Nunziatura ad Atene, ma che fino allo scorso anno ricopriva il medesimo incarico in Bangladesh. E’ rimasto in contatto con i nostri connazionali del posto. Con alcuni in stretta amicizia. “Con Claudia e Gianni, soprattutto, avevo partecipato anche al loro matrimonio nella nostra ambasciata”, mi dice al telefono, ancora scosso e incredulo per l’accaduto. Claudia D’Antona è tra le vittime, il marito Gianni Boschetti si è incredibilmente salvato, perché al momento dell’attacco era impegnato in una conversazione telefonica in giardino. Lì si è nascosto dietro un cespuglio ed è rimasto per sei ore, cercando aiuto e pregando. Preghiere che hanno unito tutti gli amici al corrente di quanto stava accadendo, ben consci che i nostri connazionali si trovano all’interno di quel locale. “Molto probabilmente - continua a raccontare mons. Catterin - se fossi stato ancora a Dhaka, sarei andato anch’io lì. Molto spesso, infatti, gli amici italiani mi invitavano. E quel locale prima era una panetteria, dove si trovava il buon pane italiano, poi hanno aggiunto un bar-caffè con una decina di tavolini. Si poteva anche pranzare, ma non un vero e proprio ristorante”. Sicuramente un punto di riferimento per i nostri connazionali, questo sì, perché vicino all’ambasciata italiana; nel quartiere Baridhara, al di là del lago di Gulshan, si trova l’ambasciata della Santa Sede con la Nunziatura. “In linea d’area saranno 200 metri”. In Ambasciata venivano organizzati incontri e visione di film. Claudia D’Antona era in prima fila per riunire gli italiani e molto spesso apriva anche le porte di casa sua per accogliere gli ultimi arrivati e anche amici chirurghi. Infatti, Claudia in Bangladesh sosteneva la Interplast, associazione di medici che si occupa delle donne sfregiate con l’acido.
Da qualche tempo il Bangladesh non può più ritenersi un paese sicuro. Avvisaglie si erano avute lo scorso settembre con l’uccisione del cooperante italiano Cesare Tavella, rivendicata dall’Isis, e poi il ferimento del missionario padre Piero Parolari a novembre.
“In Bangladesh si è iniziato a vivere un momento difficile con le elezioni nel febbraio del 2014 - ci spiega mons. Catterin -. Sono state dipinte come le prime elezioni democratiche in quanto non supervisionate dall’Onu. In realtà l’opposizione le boicottò e per molti fu impossibile recarsi a votare a causa di blocchi delle strade e dei mezzi di trasporto. Furono messe bombe negli autobus”. Sin dall’indipendenza dal Pakistan nel 1971, in Bangladesh ci sono state due visioni dominanti del nazionalismo – la prima secolarista e laica basata sulla lingua bengalese, la seconda che vede nell’islam la religione ufficiale e il modello di stato politico. I due maggiori partiti politici in Bangladesh rappresentano queste due visioni. L’attuale governo è guidato dall’Awami League che è il partito laico, mentre il partito d’opposizione, il Bnp, ha una versione molto più conservatrice. Esiste, quindi, un contesto politico che fornisce terreno fertile per il fondamentalismo religioso. Attentati sono stati perpetrati contro tempi buddisti e contro comunità cattoliche nel Nord del Paese. “Si pensava più a dispute terriere che a motivi religiosi - continua don Massimo -. Con qualche estremista associato a partiti locali, ma non legato direttamente all’Isis, spinto più dall’emulazione che da vere convinzioni”.
Instabilità politica, alta corruzione, attacchi per destabilizzare il Governo: in questo modo è difficile sapere la verità su quanto accaduto veramente dentro il locale dove hanno trovato la morte i nostri connazionali.
C’è veramente chi vuole colpire gli occidentali? I nostri, e gli altri imprenditori stranieri, così come i tanti missionari in Bangladesh sono diventati un bersaglio facile? Riaffiora anche il tema dello sfruttamente del lavoro... “Dopo il crollo del Rana Plaza nel 2014, con 1.138 operai morti, l’attenzione era focalizzata sul problema della sicurezza più che dello sfruttamento. Credo che oggi ritornare a parlare del lavoro in Bangladesh non debba portarci a dividerlo tra sfruttati e sfruttatori. Ho conosciuto imprenditori italiani che ad esempio regalano parte degli utili investendo sull’educazione; oppure sovvenzionano le scuole professionali del Pime, pagano gli studi perché si formino professionalmente e cristianamente i ragazzi. Quanta carità ho visto. Certo c’è chi sfrutta, ma tanti italiani imprenditori che erano là non mi hanno dato mai questa impressione”, riflette mons. Catterin. Certo è che un operaio guadagna 60/80 euro al mese, un medico arriva a 150 euro.
La realtà del Bangladesh è complessa e in evoluzione. “Il clima che purtroppo ora i missionari respirano lì è di tanta incertezza. E io sono molto preoccupato per loro!”, conclude mons. Catterin. E per i 600.000 cristiani nel Paese che conta 157 milioni di abitanti.

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