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Ecuador: le case e i "ponti"

Inaugurate a Muisne le case per i terremotati, frutto dell'impegno dei nostri missionari fidei donum don Giuliano Vallotto e don Graziano Mason, insieme ai laici Daniela, Giorgio e Cristina.

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Ecuador: le case e i "ponti"

Nei giorni scorsi sono stato in Ecuador, ad incontrare i nostri sacerdoti diocesani. Possiamo vedere la presenza dei preti fidei donum don Giuliano Vallotto e don Graziano Mason, insieme ai laici Daniela, Giorgio e Cristina, in Ecuador come un “ponte” lanciato tra chiese sorelle chiamate sempre più a incontrarsi, confrontarsi, condividere, incoraggiarsi... E’ pur vero che i ponti vanno soprattutto attraversati per incontrare e lasciarsi incontrare; è così che, desiderosi di camminare insieme pur nella diversità, coglieremo la missione come opportunità per rimetterci in discussione, intraprendere nuovi percorsi. Forse oggi la missione non comporta il solo “andare o inviare” e neanche il solo “aiutare i poveri”; aspetti importanti, ma sarebbero marginali se poi il “ponte” non venisse percorso e restassimo ognuno sulle proprie rive. Credo che oggi la missione, che è di ogni battezzato, ci chieda di metterci in ascolto dell’altro, di lasciarci interpellare dalle situazioni e dalle persone; ci chiede di aprire il cuore, accogliere, lasciarci cambiare...
Il ponte con Quito, Muisne, Esmeralda è stato aperto da anni grazie alla generosità e fedeltà dei nostri preti e laici che abbiamo inviato a nome nostro. Abbiamo recentemente anche sostenuto l’iniziativa di solidarietà con i terremotati dell’Ecuador del 2016: è stata un’espressione di generosità di tanti laici e sacerdoti di Treviso. Proprio in questi giorni abbiamo benedetto e inaugurato la “Cittadella della gioia” a Muisne; don Giuliano e don Graziano ci hanno coinvolto in questa solidarietà. Ho condiviso alcuni giorni di vita semplice nella cittadella, come in un inatteso “ritiro spirituale’, in cui sorgono domande, inquietudini insieme a conferme e consolazioni. Ne condivido qualcosa. Ho conosciuto famiglie e giovani passati in poco tempo dalla morte alla vita. Guardando i loro volti mi domandavo cosa passasse nei loro cuori. La morte è entrata in quel 16 aprile 2016 e così non solo si sono persi figli, genitori e amici, case e lavoro, ma anche si era spenta la fiducia nel futuro. La morte si era fatta sentire anche per l’abbandono che queste famiglie di contadini poveri hanno percepito dalle Istituzioni. Ma c’è stata anche la morte percepita nella ostilità delle popolazioni vicine che si sono sentite minacciate dal perdurare delle barraccopoli nelle loro vicinanze.
Ora, in un anno e mezzo di tempo, risorge la vita. Lo percepivo nella fraternità e nel clima di condivisione non solo di cose, ma anche di lavoro, progetti, preghiera, vita... E’ nata una cosa nuova. Non ho sentito parole di rancore verso chi avrebbe dovuto farsi carico della situazione e non l’ha fatto; non ho sentito lamentele verso Dio né verso il prossimo anche se ci sono le inevitabili difficoltà del convivere. E mi chiedo: “Chi ci fa passare dalla morte alla via? Perché a volte restiamo ancora chiusi nei lacci di morte?”. Tutti prima o poi passiamo  per situazioni di morte, di sofferenza, di “terremoto” che scuote.... E mi chiedo, insieme a tanti fratelli e sorelle: “Come è possibile non restarne vittime, ma persone con sempre nuova vita?”. Mi torna alla mente il messaggio del vescovo Eugenio di Esmeralda durante la messa d’inaugurazione: da buon profeta esorta i suoi giovani a continuare la lotta per la vita, in questo caso resistendo alle illusioni della droga e della vita facile, ma anche denunciando i narcotrafficanti e coloro che si arricchiscono sulle spalle di chi soffre. Chiedo nella preghiera, ai fratelli di Muisne che abbiano la pazienza e il coraggio di attraversare “il ponte” per incontrarci e testimoniare il Dio della Vita, Dio dei Poveri, Dio della Misericordia, che mai abbandona i suoi nella morte, ma per tutti dona Vita in abbondanza. (don Gianfranco Pegoraro)

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