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Francesco a Sarajevo per indicare al mondo quella grande ferita

Il Papa ha annunciato il viaggio per il 6 giugno. Furono circa 243mila le persone che persero la vita durante la guerra dal 1991 al 1995; circa 2 milioni furono cacciate dalle loro case, migliaia di chiese, monasteri, e altri edifici sacri furono deliberatamente distrutti. Queste ferite non sono state curate ma solo coperte

Parole chiave: papa Francesco (874), Sarajevo (12), Bosnia ed Erzegovina (2), Pero Sudar (1)
Francesco a Sarajevo per indicare al mondo quella grande ferita

Papa Francesco, all’Angelus di domenica scorsa, ha annunciato che il 6 giugno sarà a Sarajevo, capitale della Bosnia ed Erzegovina. Qualcuno penserà che la scelta di questa città sia dovuta al fatto che al Papa piacciono particolarmente le periferie, dato che l’unica altra capitale finora visitata è Tirana in Albania (Strasburgo non conta, è stata una visita alle istituzioni europee).
Così non è. Sarajevo è uno dei centri nevralgici della storia europea, anzi uno dei nervi scoperti della vicenda dei popoli che abitano questa millenaria Europa.
La storia passa di qua
Il passato di Sarajevo è la storia di tanti popoli e di diverse religioni. Questa inizia ad essere significativa prima con gli slavi e con i turchi, poi con l’Austria, la Russia e l’Europa, infine con il comunismo titino e i nazionalismi che sono seguiti dopo la sua caduta.
In questi anni di anniversari dobbiamo ricordare che a Sarajevo iniziò la Prima guerra mondiale, con l’uccisione dell’erede al trono dell’impero austroungarico Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia, da parte dello studente serbo Gavrilo Princip. Era il 28 giugno del 1914.
Un tempo Sarajevo era chiamata “la Gerusalemme d’Europa” per il clima di tolleranza e rispetto tra cattolici, ortodossi, musulmani ed ebrei. Questo almeno fino al 1992; con le guerre jugoslave i rapporti tra le varie fedi sono diventati più che difficili.
L’accordo di Dayton, nell’autunno del 1995, ha sancito quello che la guerra aveva stabilito: una divisione etnica del territorio, della politica, dell’economia. Oggi la Bosnia ed Erzegovina è composta da due entità territoriali e un distretto che appartiene a entrambe le entità: Federazione di Bosnia ed Erzegovina, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, Distretto di Brko. Le lingue ufficiali sono il bosniaco, il serbo e il croato.
I politici sono divisi oltre l’immaginazione, nel 2012 si contavano ben 115 ministri nel paese. Politica divisa significa economia incapace di funzionare. Non si cammina insieme, ma tutti contro tutti. I giovani sono scoraggiati e cercano di lasciare il paese ad ogni costo.
In Bosnia ed Erzegovina ci sono circa tre milioni e settecentomila abitanti: di questi un milione non abita nella propria casa perché è dovuto fuggire, un milione è andato all’estero durante la guerra. Se questa ingiustizia non sarà riparata o curata come sarà perdonata?
Qui passa anche il futuro
Papa Francesco tocca il cuore del problema di Sarajevo, dei Balcani e dell’umana convivenza quando afferma che “le tensioni che possono crearsi fra individui ed etnie avrebbero dovuto trovare nei valori della religione motivi di moderazione e di freno. Oggi possiamo chiederci se tutto questo è accaduto?”.
La risposta è semplicemente “no”. Proprio in Bosnia abbiamo visto tutti contro tutti: cattolici contro ortodossi, ortodossi contro musulmani e musulmani contro cattolici.
L’accordo di Dayton sancisce che le persone non possono vivere insieme perché sono diverse, e interviene separandole. Questo accordo che voleva essere di pace, tuttavia non porta alla pacificazione, rimanda solo più avanti la guerra.
Oggi in Bosnia ed Erzegovina c’è assenza di guerra, ma anche assenza di pace. Per costruire la pace occorre ricercare la giustizia, volere il bene comune. Il vescovo Pero Sudar, ausiliario di Sarajevo, dichiara che “oggi siamo più divisi e ostili che alla fine della guerra”.
Quando il Papa dice “Vi chiedo fin d’ora di pregare affinché la mia visita a quelle care popolazioni sia di incoraggiamento per i fedeli cattolici, susciti fermenti di bene e contribuisca al consolidamento della fraternità e della pace, del dialogo interreligioso, dell’amicizia”, non sta esprimendo una pia intenzione ma la richiesta di prendere a cuore una vicenda che, se fosse lasciata a se stessa, potrebbe portare ancora a guerre, mentre se fosse sanata potrebbe diventare un esempio per Ucraina e Russia, per la Siria e i ribelli, per la Gerusalemme di Palestina.
Furono circa 243mila le persone che persero la vita dal 1991 al 1995; circa 2 milioni di persone furono cacciate dalle loro case, dalle loro città, dai loro Paesi. Migliaia di chiese, monasteri, e altri edifici sacri furono deliberatamente distrutti. Queste ferite non sono state curate ma solo coperte, l’infezione è vicina e la piaga potrebbe riaprirsi; papa Francesco sta indicando al mondo questa ferita.

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