Guatemala, si risveglia il Volcán de Fuego: già 69 le vittime, ma si teme che siano in migliaia sotto la cenere
L’eruzione è stata improvvisa: un’esplosione di gas, fumo e ceneri, nella notte tra domenica e lunedì, ha oscurato il cielo ed è rapidamente caduta sul territorio circostante, densamente abitato, creando un effetto simile a quello di Pompei. Alcuni centri sono stati praticamente sepolti dalle ceneri.

È al momento di 69 vittime e quasi due milioni di persone coinvolte il bilancio dell’eruzione del Volcán de Fuego, in Guatemala (il vulcano, alto oltre 3.700 metri, si trova circa 35 chilometri a sudovest della capitale, Città del Guatemala). L’eruzione è stata improvvisa: un’esplosione di gas, fumo e ceneri, nella notte tra domenica e lunedì, ha oscurato il cielo ed è rapidamente caduta sul territorio circostante, densamente abitato, creando un effetto simile a quello di Pompei. Alcuni centri sono stati praticamente sepolti dalle ceneri. Le cifre ufficiali fornite a inizio mattinata (ora del Guatemala) di oggi dalle autorità guatemalteche parlano di 3.271 persone evacuate e assistite, 2.061 persone sistemate in alberghi o centri d’accoglienza, 46 persone ferite.
Sulla situazione è intervenuta ieri la diocesi di Escuintla, la più interessata dal disastro, con una nota firmata dal vescovo, mons. Victor Hugo Palma Paúl: “Chiediamo alle autorità governative locali e nazionali di proseguire nel prestare i servizi che sono loro propri. In molti casi abbiamo riscontrato prontezza e impegno civile. È importante non restare a metà del cammino e prestare attenzione a migliaia e migliaia di persone colpite a Escuintla, Chimaltenengo y Secatepéquez”.
Il Volcán de Fuego è noto per la sua attività di tipo stromboliano, ma quello che si è verificato in questi giorni è il fenomeno più grave da diversi anni a questa parte. Intanto la Chiesa sta facendo la sua parte e si è subito mobilitata, attraverso le parrocchie e la Caritas, privilegiando coloro che hanno perso la loro abitazione e si trovano improvvisamente senza un tetto. Sono stati allestiti tre centri di accoglienza a chi ha perso la casa o le sue proprietà in tre parrocchie. Inoltre, la sede della Caritas diocesana di Escuintla fa da riferimento come “centro di raccolta specialmente per medicinali, vestiti e alimenti, e soprattutto per acqua potabile”, il prodotto di cui c’è attualmente maggiore necessità. Una colletta sarà effettuata in tutte le parrocchie della diocesi domenica 10 giugno. “La zona colpita nella regione di Escuintla, specialmente le località di Los Lotes ed El Rodeo, oltre a altri piccoli villaggi – spiega mons. Palma -, è densamente abitata da agricoltori, piccoli proprietari terrieri, coltivatori di caffè, ortaggi e frutti. La densità abitativa ha favorito la gravità della catastrofe”.
La più grossa preoccupazione è però dovuta al numero di dispersi, non ancora quantificati. I soccorsi non sono ancora infatti riusciti ad arrivare nelle zone più popolate, si teme una vera e propria ecatombe. Lo dice al Sir, raggiunto nella serata di ieri (nella notte italiana) Mario Arévalo, segretario esecutivo della Caritas guatemalteca. “Erano 44 anni che il Volcán de Fuego non causava danni seri. Ieri (l’altroieri per chi legge, ndr) ha intensificato la sua eruzione causando una strage. L’entità dei danni non è quantificabile in questo momento. Ci sono tantissime persone disperse e, avendo le autorità stabilito tre cordoni di sicurezza, non è possibile per noi arrivare alle zone che erano più popolate. Attualmente il dato provvisorio è di circa 70 vittime, ma alcuni esperti temono che ci siano addirittura tremila persone rimaste sotto le ceneri”. Ancora non determinabile il numero delle persone rimaste senza un tetto. Prosegue Arévalo: “Come Caritas del Guatemala, in coordinamento con le Caritas diocesane, stiamo operando per raccogliere alimenti e sistemare le persone in alberghi e centri di accoglienza. Le persone coinvolte sono un milione e 700mila, numero che potrebbe aumentare. Ci sono gravissimi danni anche a infrastrutture pubbliche, soprattutto strade e ponti, per cui le comunicazioni sono molto difficili”. “Purtroppo a livello governativo manca una struttura per gestire le emergenze e il rischio è quello di che nessuno pensi alle persone colpite dalla catastrofe. Perciò, come Caritas dobbiamo pensare sia all’emergenza immediata, sia guardare a medio termine. Per questo – conclude Arévalo – faccio un appello anche alle Caritas europee e a tutte le persone di buona volontà”.
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