Hong Kong: il gravissimo arresto del cardinale Zen
E’ il padre nobile del movimento democratico, il leader di una intera comunità civile. E’ un atto del tutto politico, dimostrativo, intimidatorio e anche disumano, vista l’età avanzata

L’11 maggio 2022 non è stato un giorno come un altro e rimarrà sempre nella mia memoria. Chi, come me, ha vissuto anni formidabili a Hong Kong, avendo come vescovo il cardinale Joseph Zen, campione della libertà e della democrazia per il popolo della città, non potrà dimenticare il momento in cui ha saputo dell’arresto del cardinale, oggi novantenne. Sono state ore di angoscia quando le notizie erano ancora frammentarie e si sapeva che il cardinale era sotto interrogatorio nella caserma di polizia di Chai Wan. Dopo che è stato rilasciato su cauzione, abbiamo sentito un parziale sollievo, perché non avrebbe passato la notte in prigione. Ma abbiamo provato anche indignazione e tristezza.
Il rilascio su cauzione, infatti, non attenua l’insopportabile gravità dell’arresto di un uomo di 90 anni, che è considerato la “coscienza di Hong Kong” e che milioni di persone in tutto il mondo ammirano. Ci sarà un processo: le accuse odiose di essere colluso con potenze straniere cercheranno di gettare discredito su una persona generosa e dedicata interamente alla causa della libertà del suo popolo.
L’accusa si basa sulla sua responsabilità nell’istituzione del fondo “12 giugno”, creato per aiutare - con sostegno legale, finanziario, e sanitario - le persone ferite o arrestate nel corso delle manifestazioni democratiche iniziate il 12 giugno 2019 e conclusesi il 1 luglio 2020, con l’introduzione della legge sulla Sicurezza nazionale. Il fondo raccoglieva donazioni, anche dall’estero c’è da supporre. Era tutto alla luce del sole e con nobili intenzioni. D’altra parte, il fondo aveva sospeso le sue attività dopo l’introduzione della legge sulla Sicurezza nazionale. E dunque viene giudicato non solo da una legge liberticida, ma anche applicata in modo retroattivo. Uno scempio giuridico.
Conosco bene il cardinale Zen, non solo è stato il mio vescovo per tanti anni, ma siamo amici. A fianco a fianco sulle strade, sulle piazze, nelle prigioni, nel parco Vittoria. Zen è un pastore a fianco del popolo. Milioni di cittadini sono scesi in piazza a Hong Kong, e Zen con loro, in mezzo a loro, davanti a loro. Un movimento di popolo, di giovani, di persone che chiedono di essere liberi, di essere protagonisti del loro destino. Nel 2015 ho organizzato per lui e con lui un giro di conferenze in varie città: Milano, Bergamo, Verona, Torino e altre ancora. Gli incontri avevano il tutto esaurito: Zen è apprezzato come un coraggioso leader del nostro tempo.
La Corea del Sud ha avuto il cardinal Stephen Kim: il padre della patria che ha salvato il Paese dal potere militare accogliendo in cattedrale i manifestanti minacciati dalla polizia (1987). Le Filippine hanno avuto il cardinale Jaime Sin, che ha chiamato il popolo a difendere Cory Aquino eletta presidente al posto del dittatore Fernando Marcos (1986). Hong Kong ha il cardinale Zen.
E’ il padre nobile del movimento democratico, il leader di una intera comunità civile. L’arresto del cardinal Zen è un atto del tutto politico, dimostrativo, intimidatorio e anche disumano, vista l’età avanzata e lo stato di fragilità del cardinale.
A Hong Kong è in corso il cambio dell’amministrazione. Nessuno ha il potere di prendere una decisione così grave. Solo Pechino, e gli uomini inviati a Hong Kong per governare come un’ombra sopra la città, hanno potuto decidere di arrestare persino un cardinale. Che, non dimentichiamolo, è un consigliere del papa, membro del collegio cardinalizio e dunque cittadino con passaporto vaticano, con privilegi e diritti legati alla sua dignità. Mi sembra un atto di inimicizia piuttosto pesante. Nuvole sempre più dense, e sempre più nere, sopra Hong Kong.
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