Il mio Natale al tempo di Ebola: le feste in quarantena in Sierra Leone
Il missionario trevigiano don Maurizio Boa, giuseppino del Murialdo, in Sierra Leone da vent’anni, sta vivendo da alcuni mesi in piena epidemia. Il Paese africano è stato finora segnato da 1.900 morti. Il Governo ha deciso tre giorni di quarantena a Natale e tre a Capodanno per evitare nuovi contagi

In Sierra Leone anche il Natale sarà colpito dalle misure di emergenza per combattere la diffusione di Ebola. “Il Governo - ci racconta don Maurizio Boa, missionario dei Giuseppini del Murialdo - ha proclamato tre giorni di quarantena a Natale e tre a Capodanno, per evitare nuovi contagi. Celebreremo la messa il 25 e poi tutti a casa, senza feste e balli in piazza e sulla spiaggia”. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità la Sierra Leone, piccolo stato dell’Africa occidentale con quasi sei milioni di abitanti, è il paese più colpito, con 7.897 casi registrati e 1.900 morti. Nelle ultime settimane la situazione è migliorata, c’è stato un rallentamento dell’epidemia, la lotta si è fatta molto più organizzata, “non ci sono più i morti per le strade o nelle case per giorni” conferma don Maurizio.
Quando lo raggiungiamo al telefono sta per partire per Waterloo camp. Una zona poverissima, che da aeroporto militare inglese della seconda guerra mondiale si è trasformato negli anni Novanta in un agglomerato di capanne di sfollati e profughi, in gran parte fuggiti dalla guerra in Liberia o dalla furia dei ribelli in Sierra Leone. Alla fine dei conflitti molti sono tornati ai propri paesi, ma circa 20.000 persone sono rimaste, perlopiù poveri, disoccupati, ammalati, amputati. Qui don Maurizio è di casa, visita le famiglie, si occupa di bambini e ragazzi, tra cui molti orfani, porta clorina per disinfettare, sapone, qualcosa da mangiare e soprattutto speranza.
“Queste persone non hanno nulla, dove è passata Ebola scuole e ospedali sono chiusi, e anche le miniere e le poche fabbriche. Non lavorando, non hanno i soldi per comperare cibo e medicine, e questa è gente che non ha riserve, qui si lavora per il cibo quotidiano”.
Una vita “in frontiera”, come quella di tanti missionari, quotidianamente a rischio, ma a chi gli chiede se non sia meglio rientrare in Italia, risponde senza esitazione: “Qui non sono in prestito, condivido la vita di queste persone, sono in Sierra Leone per far vivere giovani e adulti amputati, che non possono neppure abbottonarsi la camicia, che hanno subito le ferite della guerra, non posso abbandonarli, sono diventato il loro padre”.
Don Maurizio è nel paese africano da quasi 20 anni e il suo impegno è stato segnato dalle vicende della “guerra dei diamanti” che ha insanguinato il paese, con i bambini - soldato che sono stati rapiti dai ribelli, drogati, addestrati e costretti a uccidere o ad amputare mani o braccia. Ma mentre per “recuperare” e riabilitare quei ragazzi, appena terminata la guerra, si mossero agenzie umanitarie e organizzazioni internazionali, le vittime di quelle violenze rimasero sole. “Il dopoguerra è stato terribile. Orfani, ragazzi, donne e uomini senza braccia che non potevano badare a se stessi - racconta don Maurizio -. Come Giuseppini abbiamo ideato le case - famiglia, abbiamo costruito delle casette per gli adulti grazie ad una ong norvegese, abbiamo puntato sull’istruzione. Due dei nostri orfani oggi sono all’Università, in Italia, con una borsa di studio. Una volta laureati torneranno qui per aiutare la nostra associazione. Siamo riusciti in una decina d’anni, con l’aiuto di molte persone, a restituire speranza nella vita, nel futuro. Ed ora questo nuovo dramma”.
Il paese è tra i più colpiti dal virus a causa della grande povertà. “Con un sistema sanitario decente la situazione non sarebbe così grave - ammette don Maurizio - e le colpe di questa povertà ricadono anche sull’Occidente. La Sierra Leone sarebbe ricca, ma c’è qualcuno che ruba le sue ricchezze o le paga troppo poco. Non ci sono strutture sanitarie, ci sono pochi infermieri e dottori. Pensate che 11 tra le vittime di Ebola sono medici, eroi e martiri. L’epidemia lascerà la Sierra Leone ancora più povera”.
In questi mesi, grazie alle lettere, ai contatti con strutture sanitarie e aziende italiane, con amici e gruppi missionari, don Maurizio ha contribuito a far conoscere la gravità della situazione. “Non mi sarei mai aspettato un così grande concorso di carità, di comunione - racconta -. La preghiera, in particolare, che chiedo sempre a tutti, ha mosso i cuori, e ha dato a me e ad altri la possibilità di far presente l’amore di Dio in maniera concreta. Abbiamo ridato motivo di vivere e di sperare nel futuro. Buon Natale!”.
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento