Mondo
stampa

Io, missionario nell'inferno di ebola in Sierra Leone

Padre Maurizio Boa, missionario giuseppino originario di Badoere, in contatto quasi quotidiano con la casa di cura di Monastier, racconta da Freetown la drammatica situazione del paese, che vive nella paura per il virus ebola.

Parole chiave: sierra leone (19), casa di cura (12), padre boa (2), ebola (16), monastier (137)
Io, missionario nell'inferno di ebola in Sierra Leone

“La paura che stiamo vivendo in Sierra Leone - ha scritto in questi giorni padre Maurizio Boa a Gabriele Geretto, amministratore delegato della casa di cura di Monastier, con il quale è in contatto  pressoché quotidiano - è addirittura più forte di quella vissuta durante la guerra dei ‘diamanti insanguinati’, finita nel 2002. L’ebola è un nemico invisibile contro cui siamo chiamati a combattere. La città qui (Freetown, la capitale della Sierra Leone) è sovraffollata: gente, gente, gente che cerca rifugio e non sa dove trovarlo, che vede il nemico nel fratello, nel vicino, in chi ti ama. Nessuno ti tocca, non accarezzi neppure bambini... e il nemico avanza reale, invisibile, letale? L’emergenza ebola è in crescita costante, non si riesce a frenare il contagio. Le autorità politiche e sanitarie brancolano, cercando ogni mezzo possibile per risolvere la situazione”.
Il problema secondo padre Boa “è che molte persone seguono le indicazioni illustrate su cartelli che gli operatori sanitari e governativi hanno appeso ovunque e diffuso tramite incontri di sensibilizzazione, ma altrettante persone si mostrano diffidenti ritenendo tutto questo propaganda politica. Altra cosa che si sente in giro è dovuta alla cultura locale: le streghe. Uno, due, tre aerei di streghe sono precipitati e loro, le streghe, hanno diffuso la morte. Non ridete, è veramente difficile scalzare ed affrontare questa credenza”.
Nel frattempo, lo Stato che fa? “Ha dichiarato un regime di quarantena in tutta la Sierra Leone per 4 giorni, poi ridotti a 3 per non toccare il giovedì, giorno lavorativo, dal 19 al 21 settembre. Venerdì niente moschee, domenica niente chiesa. Si preghi in casa. Vietati gli assembramenti. E ci ritroveremo così a vivere ancora giorni di assoluta tranquillità, silenzio e preghiera nel tentativo di sconfiggere l’ebola in Sierra Leone una volta e per sempre. Un sogno, una possibilità? Certo una speranza”.
Ad oggi (dati aggiornati al 13 settembre 2014) in Sierra Leone sono già morte 491 persone, mentre i casi accertati di persone infette sono 1.305.
“La sanità è al collasso, lo era già prima dell’ebola, ma almeno c’erano state notevoli avvisaglie di progresso e la mortalità infantile non era più al primo posto nel mondo. Ora gli ospedali sono chiusi per paura del contagio e anche i centri dove vengono ospitati i malati di ebola, soprattutto i centri di Kenema e Kailahum sono strapieni e non accolgono più nessuno. Si parla di un periodo di sei, nove mesi per fermare la  malattia. E intanto? Niente scuola, niente università, niente lavoro… Niente ospedali... E dove va la gente a curarsi?”.
Come sempre, per i bambini è più difficile. Mancano cure adeguate ed una politica che li preservi dalle emergenze.
Il contagio ha innescato una grave crisi economica che si avverte subito nell’aumento incontrollato dei prezzi, di tutti i prezzi, dal transport al cibo quotidiano.
Il messaggio di padre Maurizio Boa finisce con una preghiera accorata: “Che tornino presto la festa, il canto, la gioia di vivere!”.

Leggi la testimonianza integrale di padre Boa sul nuovo numero della Vita del popolo di domenica 21 settembre

Media

Io, missionario nell'inferno di ebola in Sierra Leone
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento