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Iraq, Iran e Siria: la guerra dei quarant'anni

Tutto è cominciato con la rivoluzione iraniana nel 1979. L’Iraq è diventato alleato strategico degli Usa. Salvo poi diventarne il nemico. Strane alleanze e interventi militari hanno portato Iraq e Siria alla situazione attuale.

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Iraq, Iran e Siria: la guerra dei quarant'anni

Cos’è l’Isis? Questa domanda semplice richiede una risposta attenta, perché complessa, e paziente, perché un poco lunga. E’ necessario attingere alla Geografia e alla Storia, insomma si deve partire da lontano. Perciò, deve essere attento e paziente anche il lettore.
Possiamo partire  dalla nascita dell’Iran, anzi della Repubblica Islamica dell’Iran, che prima si chiamava Persia, il suo nome storico. Era il 1979 quando lo scià di Persia fuggì negli Stati Uniti, che avevano sostenuto il suo potere e quello del padre con la violenza e colpi di stato, lasciando il potere all’Ayatollah Khomeini di ritorno dall’esilio parigino. Un’interessante ricostruzione sono i primi 150 secondi del film “Argo”, di Ben Affleck del 2012. Gli Stati Uniti hanno condizionato le vicende politiche dell’Iran, e l’Iran è diventato nemico giurato degli Stati Uniti. Quello che era uno Stato alleato e sorgente di petrolio diventa sobillatore di terroristi, nemico giurato anche di Israele. Dal 1979 ad oggi ha sostenuto l’Olp, Hezbollah, Hamas, Siria con soldi e soprattutto con armi.
Gli Usa, l’Iran e l’Iraq
L’Iran confina con l’Iraq. Proprio nel 1979, un comandante militare, un certo Saddam Hussein, sale al potere in Iraq grazie ad un colpo di stato e irrobustisce l’alleanza con gli americani in contrapposizione all’Ayatollah Khomeini. Dal 1980 al 1988 aggredisce l’Iran, con l’assistenza militare statunitense, pensando che l’esercito iraniano fosse debole e puntando ad incamerare territori petroliferi iraniani (Bassora). La guerra finì, perché i due paesi erano stremati come due combattenti che non hanno più la forza di colpirsi. Ma Saddam, “dopo essersi riposato”, nel 1990 invase il confinante Kuwait. Desiderava da sempre allargare i suoi domini e forse non aveva capito che gli Stati Uniti avrebbero difeso a quel modo il piccolo paese che galleggia nel petrolio. Arrivò così la prima guerra del Golfo, il mondo contro l’Iraq. Ma la coalizione anti-Saddam dopo la vittoria lasciò al suo posto il dittatore. Scrupoli?
Dopo 10 anni arrivò l’11 settembre, in quel clima difficile Saddam Hussein venne accusato di possedere armi di distruzione di massa, che non verranno mai trovate e che una pubblica inchiesta negli Usa denunciò come bugia dell’amministrazione Bush per scatenare un’altra guerra (altro film utile per ricostruire il periodo è “Fair game” del 2010). Iniziò la seconda guerra del Golfo e stavolta venne conquistato quasi tutto il territorio Iracheno, Saddam fu impiccato e si cercò di avviare il processi di democratizzazione.
Il risultato
A questo punto sono passati più di vent’anni e cosa si è ottenuto dopo bombardamenti, uccisioni, attentati, feriti di guerra, orfani, vedove, occupazione militare, la struttura statale distrutta? L’instabilità assoluta dell’Iraq e perciò delle nazioni circostanti. La democrazia non parte, anzi continui attentati mettono l’uno contro l’altro i popoli che vivevano in Iraq. Gli Stati confinanti forniscono armi alle varie fazioni, la gente pacifica, se può, scappa (i 10 milioni di cristiani si riducono a meno di 500.000), i fanatici religiosi sia sciiti ma soprattutto i sunniti vedono la guerra come la soluzione per un Islam puro, i Curdi costituiscono una sorta di stato nello stato.
Il ruolo della Siria
Una delle protagoniste è la Siria che, come tutti gli stati confinati con l’Iraq, ha influito nell’instabilità arrivando però a subirne le conseguenze. Il governo siriano è guidato da un presidente, Bashar Hafiz al-Asad, figlio del presidente precedente; diciamo che è una questione di famiglia e che la democrazia conta poco. E’ un governo alleato degli Iraniani perché guidato da un presidente che appartiene ad una minoranza religiosa di derivazione sciita (gli alawiti), perciò vicini anche alla Russia. Tuttavia ha intrattenuto buoni rapporti anche con gli Stati Uniti, ma l’Arabia Saudita e il Qatar (sunniti) stanno da tempo finanziando movimenti ribelli della sua area e hanno spinto perché gli Stati Uniti lasciassero la Siria e prendessero la parte dei ribelli. Per questo i ribelli hanno avuto armi americane e soldi. Per questo motivo Obama voleva entrare in guerra contro la Siria, con la questione delle armi chimiche (siamo nel 2013). Cattivi i siriani che stanno con Assad contro i bravi ribelli? Il giornalista Domenico Quirico era a favore dei ribelli ma, dopo averli conosciuti durante il sequestro, cambiò la sua opinione.
Arriva l’Isis
La sigla giornalistica Isis sta per “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, a volte tradotto anche con il significativo none di “Stato Islamico dell’Iraq e della Grande Siria”. Si è proclamato califfato cioè guidato da un vicario di Maometto. E’ stato favorito dai paesi sunniti esportatori di un islam “aggressivo” chiamato Wahhabismo, lo stesso che opera in Nigeria (Boko Haram) e in altre parti del mondo, e cioè: Arabia Saudita e Qatar. Gli Stati Uniti si sono fatti andar bene tutto ciò. A Israele non spiaceva che ci fosse un gruppo di ribelli sunniti così forti da impegnare l’Iran, che dal 1979 punta a distruggere la nazione ebraica, anche con la bomba atomica che cerca di costruire con tutte le sue forze.
Ma Isis è diventato capace di finanziarsi da solo, ha conquistato le riserve auree dell’Iraq e ha il possesso di pozzi di petrolio. Il suo islam è più feroce del Wahhabismo, più sanguinario: uccide, schiavizza, depreda. Ha armi e le sa usare, anche droni cinesi. Attira fanatici religiosi da tutto il mondo, anche dall’Italia.
L’Isis è un Frankenstein costruito per andare contro l’Iran e i suoi alleati, ma ora ha un’autonomia che spaventa tutti: Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti, Israele, Europa...
Stiamo bombardando l’Iraq dal 1990, vediamo se è il caso di bombardare o di puntare anche ad altro. Il coltello con il quale sgozzano i giornalisti (l’ultimo martedì scorso) è forse uscito da una fabbrica occidentale.

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