Kosovo, tornano pericolosi giochi di guerra
Rancori che ancora bruciano sotto la cenere, un equilibrio difficilissimo da mantenere. Alta tensione, al confine tra Serbia e Kosovo, nelle ultime settimane. Le autorità di Pristina hanno chiuso i due valichi di Jarinje e Brnjak, al confine con la Serbia, dopo che i dimostranti avevano allestito blocchi stradali per protestare contro le nuove leggi sulle targhe degli autoveicoli.

Rancori che ancora bruciano sotto la cenere, un equilibrio difficilissimo da mantenere. Alta tensione, al confine tra Serbia e Kosovo, nelle ultime settimane. Le autorità di Pristina hanno chiuso i due valichi di Jarinje e Brnjak, al confine con la Serbia, dopo che i dimostranti avevano allestito blocchi stradali per protestare contro le nuove leggi sulle targhe degli autoveicoli. La normativa prevedeva, a partire dal primo agosto, il divieto dell’uso di documenti e targhe serbe nelle regioni settentrionali del Kosovo a maggioranza serba. La mediazione europea e americana ha portato al rinvio di un mese dell’entrata in vigore del divieto all’uso di documenti e targhe serbe.
La guerra delle targhe tra Serbia e Kosovo nasce come misura “di reciprocità” da parte di Pristina. Il Governo di Belgrado, infatti, non consente, dal 2011, ai veicoli in entrata nel Paese, di usare targhe kosovare. L’ingresso in Serbia dei mezzi kosovari è autorizzato solo previo rilascio di una targa serba temporanea. Allo stesso modo, la nuova normativa kosovara prevede che, ai mezzi con targhe e documenti serbi in entrata sul territorio nazionale, sia fornita una documentazione provvisoria di 90 giorni, recante la dicitura “Repubblica del Kosovo’”. Finora Pristina ha tollerato l’uso di targhe emesse dalle istituzioni serbe in quattro municipalità del nord del Paese, dove sono presenti comunità a maggioranza serba.
Terre di mezzo. Per più di due decenni, il Kosovo è stato una questione controversa tra l’Occidente e la Russia. Durante gli anni ’90, la Russia ha apertamente sostenuto la Serbia contro l’indipendenza del Kosovo, nonostante il fatto che lo Stato serbo avesse lanciato e condotto una serie di guerre nei Balcani, incluso l’ultimo conflitto in Kosovo. Quest’ultimo, ha dichiarato la sua indipendenza, unilateralmente, nel febbraio 2008, pur essendo de facto un territorio autogovernato sotto il protettorato dell’Onu.
I rapporti tra Serbia e Kosovo, e soprattutto tra etnia serba e albanese, sono storicamente burrascosi, il che rende quel confine particolarmente delicato da più di vent’anni.
Balcani nel limbo? Nonostante un negoziato per la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi sia in corso dal 2013, le posizioni di Belgrado e Pristina sono ancora lontane e le tensioni non si sono mai sopite, alimentando i nazionalismi interni. Allo stesso modo, Mosca continua a non riconoscere il Governo di Pristina e in più di un’occasione, di recente, è tornata a paragonare l’intervento della Nato in Serbia con quello russo in Crimea. Lo scoglio è tutto lì, nel riconoscimento formale del Kosovo come Stato indipendente. La Serbia non l’ha mai fatto (al pari della Russia e della Cina), a differenza di gran parte dell’Unione europea e degli Stati Uniti. E “accettare” di dover richiedere un documento di uno Stato significherebbe, automaticamente, riconoscerne l’autorità.
Europa. Per cercare di abbassare la tensione, la diplomazia dell’Unione europea si è mossa. Il presidente serbo Aleksandar Vucic e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, hanno accettato l’invito dell’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, a recarsi a Bruxelles il 18 agosto prossimo, per discutere la via da seguire nel dialogo mediato dall’Ue tra Belgrado e Pristina. Un’Europa che, ancora una volta, appare debole in politica estera entro i confini del proprio spazio geografico!
Casus belli? Il 15 febbraio, pochi giorni prima dell’attacco militare russo all’Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin, durante una conferenza congiunta con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, al Cremlino, aveva ricordato l’intervento della Nato in Jugoslavia nel 1999, quasi a voler cercare di giustificare l’imminente attacco alla regione del Donbass. Sullo sfondo, rimane anche la questione legata alla richiesta di adesione alla Nato da parte del Kosovo, avversata sia dalla Serbia che dalla Russia.
Il buon senso consiglierebbe, a entrambe le parti, prudenza. Ma la ragionevolezza, ultimamente, in politica estera (basti guardare all’Ucraina e, in questi giorni, a Taiwan), non sembra andare più di moda. Da un punto di vista militare, la Serbia (che comunque aveva presentato nel 2009 domanda di adesione all’Unione europea, ma che resta saldamente nell’orbita d’influenza russa) avrebbe sicuramente più risorse per tentare di riconquistare il Kosovo. La domanda è sempre la stessa: a quale prezzo? O si tratta forse dell’ennesima scintilla, volontariamente accesa dal Cremlino, per alzare la posta nella futura trattativa per l’annessione del Donbass e di alcune province costiere ucraine?
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