Libia e Italia: la tragica solitudine
Riaprendo l'ambasciata a Tripoli l'Italia legittima a livello internazionale il Governo di Al Sarraj, a parole sostenuto dall'Onu. Ma in questo tentativo di mantenere una Libia unita e stabilizzata il nostro paese è lasciato solo, soprattutto dagli altri paesi europei

L’Italia ha riaperto l’ambasciata a Tripoli il 9 gennaio scorso. E’ un fatto in apparenza innocuo e normale. A tutti gli effetti è stato un passo deciso verso la legittimazione internazionale del governo di Al Sarraj, promosso e sostenuto, a parole, dall’Onu. E’ però un governo debole, incapace di difendersi e di superare le divisioni della Libia attuale. La riapertura dell’ambasciata italiana ha provocato la reazione fortissima di due personaggi chiave nell’attuale panorama libico.
L’ex primo ministro, Khalifa Ghwell, è stato primo ministro del governo non ufficiale a Tripoli; poi è fuggito nel suo feudo, ad Al-Khoms. In quella zona ci sono bande che si arricchiscono enormemente con i barconi di migranti spediti verso l’Italia. Essi non vogliono il tanto pubblicizzato, quanto ormai decaduto, accordo fra Roma e il governo di Al-Sarraj. L’intesa avrebbe previsto un robusto aiuto italiano sia nel pattugliamento delle coste, per impedire le partenze, sia nel controllo del confine a Sud, da dove arrivano gli immigrati africani. Questo accordo è una minaccia di mancati guadagni per i trafficanti, di fatto sarebbe minata la loro esistenza.
I trafficanti si nascondono alle spalle di un nazionalismo di facciata. Ghwell utilizza i sentimenti anti-italiani, gioca con lo spirito anticolonialista, arrivando a lanciare ultimatum per il ritiro dei nostri soldati da Misurata.
Certo, perché noi italiani abbiamo un ospedale e soldati a Misurata (missione Ippocrate), oltre che truppe speciali a Tripoli. Siamo già presenti militarmente sulle sabbie libiche per proteggere e sostenere la stabilità del governo di Al Sarraj.
Il generale Khalifa Haftar èun personaggio con relazioni internazionali di assoluto rilievo. Ex generale di Gheddafi, poi esule negli Stati Uniti, ritorna in Libia per contrastare il Daesh (o Isis) e si impegna militarmente ad est della Libia divenendo alleato del governo non riconosciuto di Tobruk. Nei mesi scorsi ha cercato anche l’appoggio italiano per ottenere armi, ma non l’ha trovato perché l’Italia sostiene il governo ad ovest di Al Sarraj, alternativo a quello di Tobruk.
Il gioco del generale
Da tempo, il generale ha trovato sostegno nella Francia che ha mandato truppe a terra e armi. Quando il 13 gennaio scorso il presidente francese François Hollande ha parlato al corpo diplomatico nel suo ultimo discorso da inquilino dell’Eliseo ha usato queste parole: “Sosteniamo il premier incaricato dalle Nazioni Unite, al-Sarraj, e invitiamo al dialogo le parti in Libia. Lo invitiamo al dialogo con il generale Khalifa Haftar”. Certo, è vero che solo dal dialogo tra questi due uomini potrà ripartire la stabilizzazione della Libia, ma sono parole vuote, in bocca al presidente francese che è smentito dai fatti.
Haftar ha trovato appoggio militare e nella vendita di armi da parte dell’Egitto, nazione che non ha mai smesso di pensare ad un allargamento dei propri confini.
Infine il generale Haftar ha trovato l’alleato più importante: la Russia di Putin. Egli è stato ospite di Putin nei mesi scorsi a Mosca. La scorsa settimana Haftar è salito con tutti gli onori sulla portaerei russa Ammiraglio Kuznetsov, reduce dai bombardamenti sulla Siria, accompagnato dai suoi generali. In quell’occasione, dopo aver assistito all’esibizione di potenza militare della portaerei, ha parlato in videoconferenza con il ministro russo della Difesa, poi ha firmato accordi dove offriva alla Russia le basi navali di Tobruk e di Bengasi.
Italia lasciata sola
In questi giorni Khalifa Ghwell e soprattutto il generale Haftar hanno alzato la voce e dicono all’Italia di andarsene. L’offerta italiana di aiuti e medicinali da inviare a Tobruk è vista da Haftar come un’elemosina. Si dice che la Russia abbia offerto armi per due miliardi di dollari al generale. Egli ha affermato che accoglierà gli aiuti italiani solo quando ce ne andremo dalla Libia. Infatti, in questo modo, faremo cadere indirettamente il governo di Al Serraj che stiamo sostenendo in solitudine.
L’Italia ha cercato la solidarietà internazionale e non ha trovato che quella di Malta, come noi preoccupata della situazione che si va profilando nel Mediterraneo.
Gli Stati Uniti ci avevano sostenuto finora e adesso ci lasciano. “I circoli che attorniano Trump - dice una fonte - ci informano che alla nuova Amministrazione non interessa nulla della Libia e che è un problema degli europei. Ossia, a dirla tutta, un problema italiano”. Grazie Stati Uniti, bombardatori della Libia, verrebbe da dire.
Da Francia, Germania e Gran Bretagna sembra che sia arrivato un vento di gelido distacco. Grazie, Paesi europei, alleati che sono avversari sul campo. Se gli inglesi sono usciti dall’Europa non sono usciti dalla Nato. I francesi ci accusano di far passare la gente che arriva con i barconi, ma così fanno di tutto perché siano costantemente riempiti sulla costa libica; hanno un governo di sinistra, ma continuano sempre la loro politica coloniale.
Purtroppo gli unici interessati sono i russi. Putin sta già traendo profitto piazzandosi pericolosamente nel Mediterraneo, cambiando per i prossimi decenni lo scenario strategico e militare dell’Italia e di tutta la zona.
Mantenere una Libia unita e stabilizzata pare essere peso caricato solo sulle spalle dell’Italia. L’alternativa è una Libia divisa, in preda a bande militari, caos, terreno fertile per criminali e jihadisti. E’ una prova di forza diplomatica: dobbiamo reggerla. Sperando che non diventi una prova di forza militare: allora ci troveremmo in mezzo ad una nuova guerra civile, tra chi non crede nella Libia unita e vuole spezzarla in varie parti per mangiarsene da solo una grande fetta. Allora, noi saremo in mezzo a chi si spara.
Nella foto l'allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni con il Primo ministro Fayed Al Serraj a Tripoli lo scorso aprile, prima visita di un’alta carica istituzionale straniera
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