Natale tra pace e guerra: ma il dialogo non venga mai meno
Quella che stiamo vivendo è “una guerra mondiale a pezzi”. L’espressione, efficace in tutta la sua drammaticità è di papa Francesco. Per inquadrare meglio la situazione su guerra e pace nel mondo abbiamo intervistato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di S. Egidio.

Quella che stiamo vivendo è “una guerra mondiale a pezzi”. L’espressione, efficace in tutta la sua drammaticità è di papa Francesco. Un conflitto le cui tracce sono comunque vicine a noi. E spesso, nelle terre del Medio Oriente, le prime vittime dei conflitti sono proprio i cristiani, che si apprestano a vivere, soprattutto in Siria e in Iraq, un Natale di sofferenza.
Per inquadrare meglio la situazione su guerra e pace nel mondo abbiamo intervistato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di S. Egidio (è stato riconfermato nella responsabilità da qualche giorno) e professore di Storia contemporanea all’Università per stranieri di Perugia.
Siamo purtroppo abituati alla guerra nel mondo, ma quest’anno gli scenari sembrano ancora più preoccupanti per quello che accade in Iraq, Siria e Libia, è d’accordo?
E’ vero. Gli scenari internazionali degli ultimi mesi sono fonte di preoccupazione e, in alcuni casi, costituiscono una vera e propria emergenza. Purtroppo la comunità internazionale, soprattutto in Siria e in tutto il Medio Oriente, finora non si è mostrata all’altezza della situazione, oscillando tra due opposti: quello della dimenticanza o dei colpevoli ritardi e quello di un interventismo senza visione. Di fronte alle troppe guerre in corso i cristiani non possono tacere. E in alcuni casi occorre davvero fare presto prima che sia troppo tardi. La Comunità di Sant’Egidio, con Andrea Riccardi, ha lanciato un appello per “salvare Aleppo”, la millenaria città siriana, simbolo di coabitazione, che sta vivendo un assedio senza fine.
Cosa intende a suo avviso papa Francesco quando parla di guerra mondiale a pezzi?
Prima di tutto intende svegliare le coscienze di fronte a focolai di conflitto che non si possono banalizzare solo perché lontani dal proprio scenario locale o rimuovere come “guerre minori”: in un mondo globalizzato come il nostro è assurdo pensare di non poter essere “contagiati” da ciò che accade altrove. E’ inoltre un’espressione che fotografa bene la situazione mondiale, a 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino, e che invita ad intervenire per evitare che si saldino pericolose alleanze, interessate a far crescere i conflitti e ad alimentare lo scontro.
Come mantenere fermo concretamente il principio del dialogo anche in queste situazioni?
Sviluppando una cultura dell’incontro e della pace a diversi livelli. Quello della comunità internazionale che, attraverso le sue istituzioni, deve sempre cercare uno sbocco negoziale alle controversie fra Stati e, sempre più spesso, all’interno degli stessi Stati. Non bisogna mai rassegnarsi ad una supposta inevitabilità della guerra. Occorre allo stesso tempo favorire tutte le occasioni di scambio e di incontro più a livello di base, costruendo reti popolari di dialogo e di integrazione.
Cosa possono fare le religioni? E vede delle novità nell’approccio di papa Francesco?
Le religioni possono e devono fare molto per la costruzione della pace anche perché in questa “guerra mondiale a pezzetti”, piena di conflitti a sfondo etnico, si assiste troppo spesso ad un’inaccettabile strumentalizzazione della fede e dell’appartenenza alle diverse confessioni religiose. Papa Francesco ne è convinto a tal punto da aver voluto, sin dall’inizio del suo pontificato, prendere in questo campo iniziative forti. Basta pensare alla grande veglia di preghiera per la pace in Siria che contribuì, nel settembre 2013, ad evitare una pericolosa escalation bellica in tutta la regione mediorientale. E’ un Papa che, insieme alla preghiera, intende mettersi concretamente al servizio della pace: non è un mistero che vorrebbe recarsi anche in Iraq, nelle zone che stanno più soffrendo per la guerra e dove vengono allontanati dalle loro terre i cristiani insieme alle altre minoranze. Guardando al suo forte impegno per la pace ci sentiamo incoraggiati a portare avanti le nostre iniziative in tanti Paesi del mondo dove regna ancora la violenza e a far rivivere lo “spirito di Assisi” con i nostri annuali incontri internazionali e il nostro lavoro quotidiano.
Dove è oggi maggiormente impegnata Sant’Egidio?
Sulle tre frontiere che ci ha indicato lo stesso papa Francesco durante la sua visita alla Comunità dello scorso 15 giugno: preghiera, poveri, pace. Su queste 3 “p”, che sono strettamente legate tra loro, lavorano oltre 60 mila tra giovani e adulti di 73 diversi Paesi: è il popolo di Sant’Egidio nel mondo. Parla diverse lingue ma opera nello stesso spirito organizzando Scuole della Pace per i minori nelle periferie più difficili, come quelle africane o latinoamericane, aiutando i bambini di strada e i prigionieri, facendosi vicino alla condizione di abbandono e di solitudine di tanti anziani. E lavorando per la pace, consapevoli che, come ricorda Andrea Riccardi, “la guerra è la madre di tutte le povertà”.
Ci sono dei paesi nel mondo nei quali si aspetta nel 2015 passi in avanti verso la pace? Quali soprattutto?
E’ difficile dirlo perché dipende dall’impegno e dalla preghiera di tanti. Posso però citare alcune situazioni per le quali stiamo lavorando ormai da tempo, come il Centrafrica, dove le religioni possono svolgere un ruolo fondamentale, la Casamance (regione del Senegal) per la quale sono stati fatti passi avanti significativi nella direzione della pace, e Mindanao nelle Filippine, dove il coinvolgimento di importanti organizzazioni musulmane indonesiane ha contribuito ad ottenere un primo importante accordo di pace. Ma nel nostro cuore c’è oggi soprattutto la difficilissima condizione dei cristiani in Medio Oriente. Abbiamo promosso a Cipro, per il prossimo mese di marzo, un’importante conferenza dei cristiani di tutta la regione, dall’Iraq fino all’Egitto. Sono invitate tutte le Chiese mediorientali cattoliche, ortodosse e protestanti, ma parteciperanno anche alcuni rappresentanti dei Paesi europei, come Germania, Italia, Francia, Russia. Non vogliamo rassegnarci ad un Medio Oriente privo di una presenza, quella cristiana, che pur rappresentando una minoranza, ha tanto contribuito nei secoli alla sua crescita religiosa, culturale ed economica. Parleremo del futuro dei cristiani nella regione e di come possiamo aiutarli e sostenerli.
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