Nel mondo aumentano gli affamati
Continua a crescere a un ritmo allarmante il numero di persone che affronta un’insicurezza alimentare acuta e che necessita di assistenza e sostentamento urgenti. A rischio l’obiettivo Onu per il 2030

Nel 2021 quasi 193 milioni di persone, in 53 Paesi o territori, sono state in condizioni di “insicurezza alimentare acuta”. Una situazione in peggioramento per quasi 40 milioni di persone in più rispetto al numero, già record, del 2020. E’ quanto emerge dal sesto Rapporto globale annuale sulle crisi alimentari di Fao, Programma alimentare Onu (Wfp) e Unione europea.
E ora la guerra in Ucraina ha provocato conseguenze, dirette e indirette, in tutto il mondo sul settore alimentare. Il problema principale riguarda tanti Paesi in via di sviluppo che rischiano di dover affrontare una vera e propria emergenza alimentare: da una parte per l’aumento dei prezzi delle materie prime, dall’altra per le difficoltà di approvvigionamento. Tra quelli maggiormente alle prese con la crisi alimentare, molti dipendono quasi totalmente da Russia e Ucraina per le importazioni di grano: è il caso di Somalia (90%), Repubblica democratica del Congo (80%) e Madagascar (70%).
A far emergere un quadro ancora più critico non è però solo l’aumento dei prezzi del carburante e dei fertilizzanti, ma anche iil cambiamento del clima.
Cosa si intende per “insicurezza alimentare acuta”? Essa si verifica quando l’incapacità di una persona di consumare cibo adeguato mette la sua vita o il suo sostentamento in pericolo immediato. Si differenzia dalla fame cronica, quando una persona non è in grado di consumare abbastanza cibo per un lungo periodo di tempo per mantenere uno stile di vita normale e attivo.
L’effetto a catena della crisi in Ucraina sta aggiungendo ulteriore tensione ai Paesi dipendenti dalle importazioni, in particolare di grano e mais. Anche prima dell’invasione russa, l’aumento dei prezzi stava mettendo il cibo fuori dalla portata di molte famiglie vulnerabili in vari Paesi.
I più colpiti sono quelli teatro di guerre prolungate: l’Afghanistan, la Repubblica Democratica del Congo, l’Etiopia, il Sudan, il Sud Sudan, la Siria e lo Yemen. Il timore è che l’insicurezza alimentare possa sfociare in una vera crisi in altri Paesi colpiti da gravi crisi economiche, come Haiti, Nigeria, Pakistan.
Dei 53 Paesi colpiti dalla crisi alimentare cronica la metà sono in Africa, a seguire il Medio Oriente e Asia, poi l’America centro-meridionale. Come si legge nel rapporto, sono circa 180 milioni le persone (provenienti da 42 dei 53 Paesi in crisi alimentare) che nel 2022 si troveranno nella fase di crisi più grave. A fronte di un ulteriore aumento dell’insicurezza alimentare acuta. Per leggere meglio i dati abbiamo posto alcune domande a Luca Russo, uno dei redattori del Rapporto, team leader del Fondo per l’Agricoltura delle Nazioni Unite (Fao).
Leggendo il rapporto emerge in modo allarmante il numero delle persone che soffrono la fame in modo estremo…
Sì, nel rapporto abbiamo evidenziato come le crisi alimentari acute interessino quasi 200 milioni di persone. Nel rapporto si evidenzia come 193 milioni di persone si trovino in questa condizione e come negli ultimi cinque ogni anno i numeri siano cresciuti. Il Continente più colpito in termini assoluti di Paesi e popolazioni coinvolte è l’Africa. I risultati del rapporto dimostrano la necessità di dare priorità e appoggiare, magari anche finanziariamente, l’agricoltura dei piccoli proprietari come risposta umanitaria in prima linea, per superare i vincoli di accesso e come soluzione per invertire le tendenze negative a lungo termine.
Quali sono le cause profonde delle crisi alimentari?
I fattori chiave alla base della crescente insicurezza alimentare acuta sono la guerra, i cambiamenti climatici, gli effetti della pandemia e le disuguaglianze economiche. Nel rapporto cerchiamo di capire quali siano le cause che determinano la situazione di crisi alimentare, in ciascuno dei Paesi presi in esame. E’ evidente che i problemi non vengono mai da soli, ma abbiamo una combinazione di fattori, in cui alla base ci sta la marginalità rurale. I fattori di shock (conflitti, crisi economica e crisi climatica) si innestano quindi su una situazione già esistente di precarietà.
I numeri del rapporto accompagnano i dubbi circa la possibilità di raggiungere l’obiettivo “Fame zero” entro il 2030?
Assolutamente sì. Tra il 70 e l’80 per cento di queste persone in insicurezza alimentare grave si trova in soli 10 Paesi (ndr Afghanistan, Rep. Dem. Congo, Etiopia, Haiti, Nigeria, Pakistan Siria Sudan, Sud Sudan, e Yemen) caratterizzati, oltre che da conflitti e crisi economica, da fragilità istituzionale. Mentre in altri Paesi l’obiettivo 2 dell’Agenda 2030 si sta raggiungendo, in queste Nazioni, o in alcune zone di esse, proprio per queste situazioni contingenti, è fortemente improbabile che si possa raggiungere.
Come cambiare questo paradigma, viste le conseguenze a livello globale che la guerra in Ucraina determinerà sulla sicurezza alimentare in molti Paesi?
Ci sono delle ragioni di natura tecnica e altre di natura politica. Per quanto riguarda le prime, sicuramente si tratta di investire di più in agricoltura (ndr ci troviamo nel Decennio 2019-2028 delle Nazioni Unite per l’agricoltura familiare). Attualmente più di due terzi delle persone in insicurezza alimentare acuta sono popolazioni rurali e soltanto l’8% dell’assistenza umanitaria è in supporto al settore agricolo. La maggior parte dei fondi di assistenza sono oggi destinati agli aiuti alimentari, necessari ma che non creano sviluppo. Da un punto di vista politico servirebbe la volontà di affrontare questi problemi in modo congiunto da parte degli attori interessati. Mi riferisco ai soggetti finanziari, alle multinazionali, ma anche alle ong che si occupano di pace e di diritti umani. C’è una riluttanza da parte dei vari attori di lavorare in modo coordinato. Questo è un grosso problema!
E, infine, c’è un Paese che può rappresentare un esempio di come si può uscire dalla situazione di insicurezza alimentare acuta?
L’Etiopia, per esempio, fino a un anno e mezzo fa - prima che iniziasse il conflitto nel Tigray - era un esempio virtuoso, avendo fatto dei passi enormi per ridurre il numero delle persone in insicurezza alimentare. Purtroppo, molto dipende dai Governi nazionali che sono parte del problema e non contribuiscono alla sua risoluzione, a cui si innescano una serie di considerazioni geopolitiche, a seconda dell’appartenenza di questo o quel Paese alle varie zone d’influenza.
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