Siria, vergognoso massacro
L’Europa mette come gli struzzi la testa sotto la sabbia, le Nazioni Unite sono messe all’angolo, mentre la Turchia, con il sostegno incrociato di Stati Uniti e Russia, sta dando la caccia ai curdi e alla minoranza cristiana nel nord della Siria. E’ difficile capire come una potenza possa voltare la faccia a propri alleati fino a ieri, se non in forza di grossi interessi economici.

L’Europa mette come gli struzzi la testa sotto la sabbia, le Nazioni Unite sono messe all’angolo, mentre la Turchia, con il sostegno incrociato di Stati Uniti e Russia, sta dando la caccia ai curdi e alla minoranza cristiana nel nord della Siria. E’ difficile capire come una potenza possa voltare la faccia a propri alleati fino a ieri, se non in forza di grossi interessi economici. Lo è altrettanto fornire delle statistiche precise circa l’attuale presenza di curdi e di cristiani in questo territorio, segnato per un lungo tratto dal corso dell’Eufrate e negli ultimi dalla guerra con l’Isis e con il regime di Assad.
Dal tweet del presidente americano Trump di lunedì 7 ottobre, nel quale comunicava la sua decisione di ritirare i soldati statunitensi dal nordest della Siria, permettendo così alla Turchia di invadere i territori al di là del confine siriano e cacciare i curdi, considerati “terroristi” dal governo turco, sono migliaia i civili in fuga.
La decisione di Trump, definita da molti un «tradimento» degli Stati Uniti nei confronti dei curdi siriani, è stata molto criticata da esperti, giornalisti e politici statunitensi, tra cui diversi membri del suo stesso partito. Si stimano in oltre 300.000 i civili intrappolati in quest’area di confine con la Turchia, costretti a lasciare le loro abitazioni in questi primi dieci giorni di guerra – che sarcasticamente il presidente turco Erdogan ha chiamato come operazione “Spring peace” (letteralmente: sorgenti di pace) - e le stime dell’Onu ipotizzano che il numero degli sfollati possa aumentare sino a 450.000 persone, da qui a fine mese di ottobre. Tra questi risulta ancora più complicato censire l’attuale presenza cristiana nei territori governati dalle milizie curde. Prima della guerra siriana, si contavano comunità cristiane in tutte le principali località: 1.500 famiglie a Raqqa, metà delle quali greco-ortodosse; mille a Tall Abyad, in particolare armene; 300 a Tabqa (al-Thawra); 150 a Deir ez-Zor, principalmente siro-ortodosse, ma anche latine, siro-cattoliche e armene; senza contare le decine di migliaia di cristiani che popolavano le città di Hassaké e Qamishli, nel nordest, e tutta la Valle del Khabur con i suoi 35 villaggi assiri. Oggi i cristiani rimasti sono qualche centinaio: chi non è stato ucciso o costretto a convertirsi all’Islam, è dovuto scappare.
Gli osservatori internazionali e le ong presenti nell’area confermano che la spartizione della Siria era già iniziata mesi fa con il doppio binario diplomatico della Russia a sostegno sia della Turchia che della Siria, ma anche dalla debolezza politica dell’Unione europea più preoccupata all’approvvigionamento del petrolio a basso costo e dalla tenuta degli accordi del 2015 con la Turchia per il controllo dei flussi migratori.
La conferma della debolezza europea la si è avuta a inizio settimana con il debole comunicato finale del Consiglio europeo dei ministri degli esteri: paesi divisi sul blocco della vendita delle armi, nessuna condanna unitaria. Il rischio evidente è di un allargamento del conflitto nell’area, anche perché a 70 anni dalla fondazione delle Nazioni Unite risultano evidenti i suoi limiti operativi di fronte alle pretestuose ragioni di sicurezza dei propri confini per eliminare fisicamente la popolazione curda, considerata nemica del governo turco, addotte dalla Turchia per intraprendere questa azione militare.
Per difendere i curdi, l’Europa ha messo sullo stesso piano le centinaia di morti e di sfollati della Siria settentrionale con i giacimenti di petrolio a largo di Cipro e con gli interessi economici in Turchia delle aziende europee.
Eppure la storia del Medio Oriente ci insegna che non vi possono essere popoli con una storia millenaria senza uno stato o una benché minima autodeterminazione.
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