Tunisia: i giovani, delusi, non hanno votato
Testimonianza diretta sul voto di domenica 26 ottobre. La delusione dei giovani della rivoluzione araba

Fin dalle 7 del mattino di domenica 26 ottobre, viaggiando tra i seggi appena aperti di Kef Est e in tutto il territorio del nord ovest della Tunisia, ciò che è evidente è che i giovani tunisini dai 18 ai 30 anni non sono presenti al voto del primo parlamento tunisino in assoluto ad essere eletto dal basso, dopo la caduta del regime di Ben Ali. Li ho spesso incontrati per i caffè, dove i maschi passano la giornata fumando ed attendendo un futuro di lavoro che manca. Costituiscono il 30% della popolazione tunisina, hanno tirato le pietre contro il regime di Ben Ali nel gennaio 2011, facendo parlare di “primavera araba”, ma già alle prime elezioni dell’ottobre del 2011 per l’Assemblea costituente non hanno trovato rappresentazione politica ed il partito di Ennhada, islamico moderato, che alle elezioni di oggi crolla, per 3 anni non ha dato alcuna risposta alle loro istanze sociali: sopratutto alla richiesta di lavoro di più della metà di questi giovani, già laureati o diplomati.
Mohamed, trentaduenne, una laurea in ingegneria, disoccupato di lunga data che ha trovato il modo di lavorare per Atide, l’ong tunisina molto attiva nel monitorare le elezioni, spiega: “Anche se io mi sono impegnato, non ho confidenza con nessuno, in questo scenario politico. Nessuno manterrà le promesse, io sono senza lavoro da dieci anni, sono emigrato clandestinamente in Italia nel 2009, dopo un anno sono stato espulso”. Per qualche minuto mi fermo al caffè “Baroque”(caffè misto di Kef dove si trovano ragazzi e ragazze), supero la cortina di fumo da sigarette e l’odore mescolato del fumo della “chicha”, parlo con Najn, 22 anni, sta terminando una laurea in Biologia, frontino del cappello girato all’indietro: “Je ne me suis pas inscrit pour votez les partis sont tous pareils”! (Non mi sono nemmeno iscritto per votare, i partiti sono tutti uguali!). Seduta allo stesso caffé il giorno prima avevo incontrato Mohamed (22 anni), Hakim (26 anni), Cherifa (24 anni), impegnati in un piccolo progetto, finanziato dall’Unione europea, di sensibilizzazione alla partecipazione dei giovani universitari del nord ovest della Tunisia. “Sono sei mesi che con questo progettino guadagniamo un po’ di soldi, ma per spostarci con l’ auto paghiamo noi la benzina... abbiamo incontrato molti giovani nelle tre università in cui abbiamo lavorato, ma diciamo che il 60% è demotivato, deluso dopo il 2011, dicono che alle nuove generazioni è stata portata via la rivoluzione. Il cambiamento partito da un giovane che si è bruciato a Sidi Bouzid non è avvenuto, i problemi sono ancora tutti lì, anzi in questi tre anni i prezzi sono aumentati, la sicurezza contro il terrorismo jhihadista è venuta meno e noi non abbiamo un’idea chiara di quale sarà il nostro futuro!”.
A mezzanotte mentre monitoro la prima aggregazione di voti, mi raggiunge Wessem, giovane tunisino di I watch (ong per il monitoraggio elettorale), anche lui deluso per il basso tasso di partecipazione dei giovani. Apre il suo Ipad e mi dice: “Vedi queste foto, sono i miei due vicini di casa di 21 e 22 anni, sono morti in Siria con i jhihadisti un mese fa”. Sono due volti giovani, dai capelli lunghi, barba lunga e con un foro sulla fronte. Sono 3.000 i giovani tunisini “arruolati” e se il nuovo governo, la cui maggioranza sarà tenuta dal partito in cui sono rientrati “i vecchi” del regime di Ben Ali, non darà risposte concrete ad una generazione che non ha voluto esserci all’elezione dal basso del primo parlamento tunisino, forse l’idea folle di un califfato jhihadista, ed i battelli per l’Italia saranno ancora le soluzioni vincenti.
Mentre percorro le strade del nord ovest della Tunisia e “rappresento” come unica italiana nominata dalla missione elettorale della Ue, anche i giovani italiani, un parallelo tra le due sponde del Mediterraneo mi viene spontaneo, e mi rendo conto che oggi è facile parlare di “rivoluzione araba”, “rivoluzione degli ombrelli ad Hong Kong”, ma il viaggio delle democrazie è complesso e le generazioni future chiedono soluzioni concrete, come sempre nella storia.
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