Ucraina: "Preghiamo per la pace e per la riconquista del nostro territorio"
La testimonianza di don Andriy Tanasiychuk, ritornato in patria da Venezia

“Se dall'inizio abbiamo pregato per la pace, da due settimane preghiamo anche per la vittoria dell'Ucraina. La gente percepisce che stiamo passando dallo sforzo per la difesa a quello per la vittoria. La speranza, infatti, è che riusciremo a riconquistare il nostro territorio, mandando via i russi”. Lo rileva don Andriy Tanasiychuk, sacerdote cattolico ucraino, raggiunto al telefono nella sua città di Kolomyja, nel sud-est dell'Ucraina, a quasi 600 chilometri da Kiev e altrettanti dalla frontiera con la Bielorussia.
Don Andriy, 43 anni, è tornato già prima dello scoppio del conflitto nella sua città natale, proveniente da Venezia, dove insegna alla Facoltà di Diritto canonico, nel palazzo del Seminario alla Salute. C'è bisogno di dare sostegno spirituale e anche morale e materiale a una popolazione duramente colpita dall'invasione ordinata da Putin.
Poi cinque settimane drammatiche, intense, operosissime: “Oggi siamo stanchi - dice don Andriy - perché più di un mese di guerra è un'esperienza molto pesante. E abbiamo tanti lutti: giovedì scorso abbiamo celebrato il funerale di due uomini della mia città. In questi giorni sono morte in combattimento una ventina di persone della mia regione. Però il clima circa l'andamento della guerra sta cambiando: siamo fiduciosi”. Quindi la mobilitazione continua: “In questi giorni altri quattro capofamiglia della mia città hanno deciso di andare al fronte; sono venuti prima da me, hanno chiesto una preghiera e una benedizione. E ogni giorno alle 15, con i bambini e i ragazzi della parrocchia, facciamo insieme la preghiera della corona misericordiosa, ricordando i genitori che stanno combattendo”. A Kolomyja, città di 60 mila abitanti, la vita procede relativamente tranquilla: “La guerra l'abbiamo vissuta dal di dentro solo il primo giorno, il 24 febbraio: i russi hanno bombardato l'aeroporto militare della nostra città. Per fortuna non hanno distrutto la pista, ma solo alcuni edifici e l'aeroporto è ancora operativo. Poi più niente”.
La gente cerca di vivere l'ordinarietà: “Si va a lavorare, si aprono i negozi, si cerca di aprire qualche attività per dare lavoro e contribuire all'economia”. La città, sia pure tra qualche difficoltà, prosegue la sua esistenza: “Cibo ce n'è - riprende il sacerdote - anche se c'è poca scelta. Sono spariti vino e superalcolici, vietati per garantire sobrietà e disciplina”.
Poi c'è la città dell'accoglienza: a Kolomyja ci sono tanti rifugiati: “Per la gran parte sono persone e famiglie arrivate da sole, con i propri mezzi, che non hanno particolare bisogno di aiuto materiale. Poi, certo, ci sono anche quelli che arrivano dalle zone più colpite: sopra il mio appartamento vive adesso una signora con un bambino, arrivati da Mariupol, dall'inferno”.
La città di Kolomyja cerca di rendere perfino gradevole la sosta temporanea di tante persone sradicate: “Abbiamo diversi musei, in particolare su arte e artigianato del legno. Organizziamo visite guidate con i profughi, per farci sentire vicini a loro e introdurli nella nostra realtà cittadina. E per chi viene da paesi e città russofoni ci sono corsi di lingua ucraina”.
Ma in questa situazione di relativa tranquillità non si vive l'angoscia di una nuova escalation, magari con l'uso criminale di armi chimiche? “Riceviamo quotidianamente dalle autorità - risponde don Andriy - informazioni su cosa fare in caso di attacco chimico o nucleare; però attualmente non si avverte la paura che questo possa succedere”.
E la pace, le trattative per una pace vera come sono avvertite a Kolomyja? “Ci speriamo e ci contiamo, ma bisognerà vedere a quali condizioni”.
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