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Vincono i no, ma nasce una nuova Scozia

Edimburgo resta con Londra nel Regno Unito, ma otterrà nuovi poteri e autonomie maggiori da Westminster. Verso uno Stato federale. "Ora è il tempo della riconciliazione": domenica funzione ecumenica "per la guarigione" del Paese.

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Vincono i no, ma nasce una nuova Scozia

Non ce l’hanno fatta gli indipendentisti discendenti di Braveheart a separare questo Regno unito dal 1707 né a far diventare più piccola la Gran Bretagna. Per adesso finisce nel cassetto il sogno di uno Stato stile norvegese, dove il petrolio del Mare del Nord avrebbe aiutato i poveri, vittime del declino industriale e dei tagli selvaggi al welfare, prima da parte della Thatcher e poi di Cameron. Con il 55,4% dei voti, oltre 1,9 milioni di scozzesi hanno detto che preferiscono stare insieme con gli inglesi. A scegliere l’indipendenza, ovvero il sì, sono stati più di un milione e mezzo, il 44,6% dei votanti. Intanto a Bruxelles e in diverse capitali europee si tira un sospiro di sollievo: un continente attraversato dai secessionismi aveva turbato molti sonni.

Verso uno Stato federale

La Scozia non è dunque diventata un apripista per altre regioni europee che vogliono l’indipendenza dallo Stato centrale, come i Paesi Baschi e la Catalogna, come spiega Francis Campbell, ex ambasciatore britannico presso la Santa Sede, uno dei cattolici più stimati nel Regno Unito. “Il voto non comporta un nuovo assetto costituzionale per la Scozia”, spiega Campbell al Sir, che oggi è vicerettore dell’università londinese di st.Mary’s. “Ci sarà probabilmente la fine dell’Unione tra Inghilterra, Scozia, Galles e Nord Irlanda e la sua sostituzione con uno Stato federale. A Westminster i tre partiti hanno promesso la ‘massima devoluzione’ o ‘home rule’, ovvero quello che è successo in Irlanda nel 1914 che ha portato all’indipendenza del Paese”.

Una nuova costituzione

La cosiddetta “devomax” trasferirà a Edimburgo quasi tutti i poteri rimasti a Westminster tranne difesa e politica estera. Secondo Alan Renwick, professore di politica comparata all’università di Reading, “questo solleverà ogni sorta di problema costituzionale sui poteri per il Galles e il Nord Irlanda e anche su che cosa dovrà succedere al governo di Inghilterra. Ci vorranno molte discussioni, nei prossimi mesi e probabilmente anni, per mettere a punto una nuova costituzione per l’Unione nel suo complesso”.

Indipendenza senza ritorno

Insomma la via verso l’indipendenza appare senza ritorno, anche se hanno vinto i no. “L’intero processo e dibattito di questo referendum ha costretto gli scozzesi a pensare all’indipendenza in un modo in cui non avevano mai fatto fino ad ora”, spiega il professor Renwick. “Molti di loro non avevano mai preso in considerazione la possibilità che capitasse davvero, in breve tempo. Continueranno a pensarci. Difficile dire se un altro referendum, magari tra 10 o 15 anni, porterà all’indipendenza. In Quebec ne hanno fatto uno nel 1980 e un altro nel 1995 per lo stesso obiettivo. In entrambi i casi ha prevalso il no. Molto dipende da quello che succederà a Westminster tra adesso e qualsiasi futuro referendum”.

È ora di riconciliazione

Intanto per questa nazione antichissima, che ha sempre avuto il proprio sistema legale ed educativo, una sua religione, presbiteriana e non anglicana, una sua famiglia reale e una sua politica estera è l’ora della riconciliazione, di sanare le divisioni provocate dal referendum. Non si possono dimenticare le immagini di donne anziane insultate per strada perché portavano un cartello al collo contro l’indipendenza. Si sono visti politici e giornalisti attaccati con uova e insulti. Varie amicizie si sono rotte. In non pochi casi parenti hanno smesso di parlarsi a cena…

Una funzione ecumenica

Anche per questo migliaia di persone, a favore e contro l’indipendenza, domenica prossima, nella cattedrale di st.Giles, a Edimburgo, pregheranno insieme, guidate dai loro leader, chiedendo a Dio la pace per queste isole e affinché risani le divisioni della campagna elettorale, garantendo pace e prosperità. Un “healing service”, una “funzione per la guarigione”, organizzata dalla presbiteriana “Church of Scotland” e aperta a tutte le altre fedi.

Divisi anche cattolici e italiani

Perché divisi tra “yes” e “no” sono stati tutti. Anche i cattolici, 850mila, il 16,7% di tutti gli scozzesi. Anche gli italiani, circa 100mila, il 2% della popolazione. Tom Devine, il più importante storico contemporaneo scozzese, cattolico, si è battuto per l’indipendenza “perché”, spiega, “dagli anni Ottanta due diverse culture politiche si sono sviluppate in Inghilterra e Scozia. Noi scozzesi preferiamo un governo e un welfare forti che si occupino dei più deboli mentre a Westminster seguono una politica di destra”. Ronnie Convery, giornalista e portavoce dell’arcivescovo di Glasgow, monsignor Philip Tartaglia, di origini italiane anche lui, afferma: “Per il no hanno votato anziani, anche molti italiani, che hanno lavorato tutta la vita e hanno avuto un po’ paura di perdere tutto quello per cui hanno sudato per avventurarsi in un Paese nuovo sì, ma più vulnerabile”. “Il sì all’indipendenza sulla scheda”, spiega il portavoce dell’arcivescovo di Glasgow, “l’ha messo chi non ha nulla da perdere perché magari non ha casa né lavoro”.

Fonte: Sir
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