"Caro fratello Peter, tu ci appartieni. E con la tua morte ci lasci un ultimo appello"
Ieri, 20 ottobre, il vicario generale della Diocesi ha presieduto nella chiesa di San Martino, il funerale di Peter Parvanyk, il 38enne ungherese "senza dimora" morto a metà settembre nelle acque del Cagnan, in Pescheria. "Il tuo disagio ci appartiene - ha sottolineato -. Rendervi invisibili impoverisce noi che diventiamo senza umanità”

C'erano tutti i suoi amici della Comunità di Sant'Egidio, c'erano persone comuni, fedeli della parrocchia, e non solo, ieri mattina, 20 ottobre, nella chiesa di San Martino di Treviso per dare l'ultimo saluto Peter Parvanyk, il 38enne ungherese "senza dimora" morto a metà settembre nelle acque del Cagnan, in Pescheria. A presiedere il vicario generale della Diocesi, mons. Adriano Cevolotto. Hanno concelebrato il parroco don Giorgio Riccoboni, mons. Giorgio Marcuzzo e don Alberto Zanetti.
"Non c’è di peggio che porre lo sguardo a partire da quel “senza”: “Senza tetto”, “senza fissa dimora”, “senza famiglia”, “senza prospettive”… ”forse “senza speranze”... - ha ricordato il Vicario generale -. Diventa uno sguardo miope. Così senza rendercene conto noi vi priviamo di tutto, di valore e il nostro giudizio diventa una condanna. Condanniamo quelli come te a rimanere “senza”. E noi a rimanere “senza” (di voi)". E ancora: "In realtà tu/voi ci appartenete. Ci appartiene anche il vostro disagio, la vostra sofferenza, la vostra umanità. Rendervi “invisibili”, negandovi i diritti, impoverisce noi relegandoci a nostra volta tra i “senza”: alla fine noi diventiamo “senza umanità”. E’ ipocrisia, e funzionale alle nostre ipocrisie, accorrere in aiuto quando fa più freddo e c’è il rischio che ci scappi il morto - le parole forti di mons. Cevolotto -. Questi morti ci disturbano, perciò vanno evitati. Allora operiamo seriamente tutti per ridurre al massimo quei “senza”, che è facile attaccarvi addosso. Vorrei in questo momento prometterti, a nome della comunità cristiana, e oserei dire anche a nome dell’amministrazione comunale, che Via Pasubio sia un luogo dove voi potete trovare stabile accoglienza e dimora. La vostra casa nella quale potersi incontrare. Ci vuole veramente poco per togliere qualche “senza” e arricchirci reciprocamente di più umanità. Non è questione di soldi. Basta uno sguardo. Diverso da quello consueto".
Pubblichiamo l'omelia integrale pronunciata da mons. Cevolotto:
"Caro fratello Peter. Mi rivolgo a te così perché, a differenza di tanti qui presenti stamattina, non posso chiamarti “amico”. Non ci siamo mai incontrati o, forse, solo di sfuggita.
E’ proprio questa celebrazione, che mi è stato chiesto di presiedere, a consegnarmi la tua persona come un fratello. E’ straordinario ciò che abbiamo ascoltato nella pagina della lettera agli Ebrei: Gesù non si vergogna di chiamarci fratelli. Se non si vergogna lui, come potremmo vergognarci noi?
Da come ti hanno raccontato coloro che ti hanno incrociato e frequentato, confesso che mi avrebbe fatto piacere conoscerti. Certo, avrei dovuto superare quella spontanea e radicata difesa di fronte a quelli che, come te, noi bolliamo con quel maledetto: ”senza”. “Senza tetto”, “senza fissa dimora”, “senza famiglia”, “senza prospettive”… ”forse “senza speranze”.
Non c’è di peggio che porre lo sguardo a partire da quel “senza”. Diventa uno sguardo miope. Così senza rendercene conto noi vi priviamo di tutto, di valore e il nostro giudizio diventa una condanna. Condanniamo quelli come te a rimanere “senza”. E noi a rimanere “senza” (di voi).
Come dicevo, chi ha osato accostarti, ha visto invece tutto quel che c’era in te. Tanto. Certo mescolato alle tue e nostre miserie. Tanto di quelle piccole cose e gesti che fanno la differenza. Provo solo ad elencare quello che ho raccolto da poche righe di testimonianze.
Il tuo sorriso. (Nei giorni scorsi un prete facendomi notare come nella sua città le persone sono sempre serie, scure in volto, mi confidava che andando per uffici e incontrando le persone, conclude così l’incontro. Domanda: ”Posso chiederti una cosa?”. “Sì!?!”, risponde l’altro. “Mi dai un sorriso?”). A te non serviva chiederlo. Ti precedeva.
I tuoi abbracci spontanei e forti: erano la tua richiesta di amicizia, la tua domanda di vicinanza…
I tuoi occhi (“occhi di una persona che ha sofferto tanto, ma che non aveva smesso di crederci. Occhi di una persona con una grande forza e desiderio di riscatto”, così scrive una volontaria.
La tua discrezione (“aveva timore di chiedere per non mettere in difficoltà chi aveva di fronte”; “temeva di disturbare…”).
La tua dignità che manifestavi nella cura della tua persona. Fino alla fine.
La tua attenzione a chi era vicino, almeno altrettanto bisognoso o più indifeso, al punto da condividere il panino o da rinunciare a dormire in dormitorio per proteggere l’amica che doveva dormire sola in strada.
In quel “tanto” che ti apparteneva, Peter, c’era l’anelito ad un Amore grande, che si esprimeva –come è stato ricordato dagli amici della S. Egidio - nei gesti di fede di cui eri capace, semplici e veri. C’era ancora il desiderio, espresso proprio il giorno del tuo ultimo compleanno, di uscire finalmente dal rifugio dell’alcol. C’era la richiesta di farti aiutare, consapevole che da solo non ce l’avresti proprio fatta.
Ma purtroppo non siamo arrivati in tempo…
Oggi, alla nostra città, con la tua morte lasci un ultimo appello. Qualcuno vi ha definito “gli invisibili”. C’è una cultura della rimozione, del sottrarre dagli occhi ciò che disturba e perciò diventa un problema. Non c’è di peggio che pensare una persona come un problema. La tua morte, questa celebrazione, ci sta consegnando l’altra faccia di quello che si nasconde dietro a quel “senza”.
E siamo pure abili a metterci la coscienza a posto con la solita frase: “Se l’è cercata” o “Se lo vogliono”… E in questa maniera scarichiamo il peso di un po’ di inquietudine.
In realtà tu/voi ci appartenete. Ci appartiene anche il vostro disagio, la vostra sofferenza, la vostra umanità. Rendervi “invisibili”, negandovi i diritti, impoverisce noi relegandoci a nostra volta tra i “senza”: alla fine noi diventiamo “senza umanità”.
E’ ipocrisia, e funzionale alle nostre ipocrisie, accorrere in aiuto quando fa più freddo e c’è il rischio che ci scappi il morto. Questi morti ci disturbano, perciò vanno evitati. Allora operiamo seriamente tutti per ridurre al massimo quei “senza”, che è facile attaccarvi addosso.
Vorrei in questo momento prometterti, a nome della comunità cristiana, e oserei dire anche a nome dell’amministrazione comunale, che Via Pasubio sia un luogo dove voi potete trovare stabile accoglienza e dimora. La vostra casa nella quale potersi incontrare. Ci vuole veramente poco per togliere qualche “senza” e arricchirci reciprocamente di più umanità. Non è questione di soldi. Basta uno sguardo. Diverso da quello consueto.
Ora ti affidiamo all’abbraccio forte e tenero del Padre. Questo sì ti precede e ha la forza di sottrarti dai lacci tremendi della morte. In quell’abbraccio il Signore ti doni di riabbracciare i tuoi genitori e quanti ti hanno amato. Buon cammino, Peter".
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