Stile di famiglia
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Cogliere le premesse e non solo le conseguenze

Concentrarsi sul “micro” che gradualmente o improvvisamente può scoppiare in tragedia.

Cogliere le premesse e non solo le conseguenze

Domenica 6 novembre leggo una bella notizia ed una orribile, che riguardano entrambe lo stesso tema.

La prima è l’inaugurazione di una mostra a Treviso presso il Palazzo dei Trecento, in vista della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre. In essa, l’artista veneziana Paola Volpato rappresenta a china su cotone i volti di oltre settecento donne vittime della violenza in Italia dal 2015 ad oggi, quasi come una novella “Veronica”.

La seconda notizia, quella orribile, riguarda una donna non rappresentata nella mostra trevigiana perché barbaramente assassinata proprio nella stessa domenica, dal marito, nel centro di accoglienza dove erano ospitati da circa due mesi.

Tutti, credo, si accorgono del “macro” quando accade, ma ancora troppo pochi vigilano su quel “micro” che gradualmente o improvvisamente può scoppiare in tragedia.

Mentre attendiamo proprio il 25 novembre, giorno in cui il Ministero dell’Interno fornisce i dati relativi all’anno in corso, l’Onu ci dice che nel mondo la violenza sulle donne è ancora la prima causa di morte per le donne in giovane età.

Secondo i dati raccolti dall’Istat, solo in Italia quasi sette milioni di donne hanno subìto maltrattamenti nel corso della loro vita, per la grande maggioranza messi in atto all’interno della propria famiglia.

I dati riguardano solo l’emerso e ad emergere è solitamente la violenza fisica più pesante.

Vorrei tornare a quel “micro” che micro non è, se sappiamo avere uno sguardo profondo e valoriale, uno sguardo che sa leggere le premesse e non solo le conseguenze.

E allora, ad esempio, vedo un fratello adolescente che riempie di insulti la sorella perché lei non gli consegna il mazzo di chiavi di casa non accontentando lui che vuole entrare in casa un passo davanti a lei. La ragazza “prende” gli insulti e tace, i genitori commentano le pretese e gli insulti dell’erede con un banale e debole “gnao-gnao” sulla buona abitudine di non dire parolacce (soprattutto perché danno spettacolo ai vicini). Studenti di liceo i due figli, e professionisti i loro genitori.

Oppure vedo giovani ragazze che se riescono ad andare dai carabinieri non ci vanno con mamma e papà, ma con l’amica del cuore.

Oppure genitori che non sanno dove il loro figlio/a dormirà sabato notte, come se diciotto anni appena compiuti li autorizzasse a fare tutto quello che vogliono e fosse garanzia che nulla di male gli può accadere, perché ricevere un WhatsApp dopo due ore che hai chiesto “dove sei?” non significa sapere dov’è, né avergli dato alcun permesso.

Oppure le vedo bravissime e buonissime, le figlie “ideali”, senza che in casa nessuno si accorga del loro valore e della loro sofferenza perché bisogna guardare sempre e solo chi sta peggio di noi o è più bravo di noi.

E ancora giovani donne che annullano l’appuntamento al tal sportello o centro d’ascolto con un messaggio che dice “Mi scuso tantissimo, ma verrò più avanti quando sarò più tranquilla”.

Questa lista può continuare all’infinito, purtroppo.

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