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Commento: le due identità del Governo Meloni

La prima volta in Italia di un Governo guidato da una donna e la prima volta di un Governo così a destra. Giorgia Meloni nei suoi primi giorni di insediamento ha dimostrato maggiore "moderazione" rispetto ai suoi indisciplinati alleati, scegliendo un'apprezzabile linea di "riservatezza" istituzionale. 

Parole chiave: nuovo governo (8), Giorgia Meloni (5), punto politico (4)
Commento: le due identità del Governo Meloni

E’ nato, in tempi insolitamente brevi, come ha fatto notare lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Governo presieduto da Giorgia Meloni. Martedì scorso, alla Camera, si respirava un’aria solenne, così come 48 ore prima, nel salone del Quirinale, in occasione del giuramento. Il momento, del resto era storico: per la prima volta un Governo è presieduto da una donna, e mai in Italia c’era stato un Esecutivo così spostato a destra, con una premier che proviene dall’esperienza del Movimento sociale e di Alleanza nazionale, insomma dal mondo “missino”, anche se la sua giovane età la rende sostanzialmente estranea a “nostalgie” rispetto all’esperienza del fascismo.

I primi passi della premier e del Governo confermano le impressioni già suscitate durante la campagna elettorale. Giorgia Meloni, politica pura e con la determinazione di chi è riuscita a emergere partendo “dal basso”, ha compreso di avere una sola strada (anche a causa del nostro enorme debito pubblico) per non andare “a sbattere”: quella di abbandonare il sovranismo populista, che aveva invece provato a percorrere cinque anni fa, ma solo per un breve tratto, il Governo gialloverde di Giuseppe Conte, e dire sì, invece, ai pilastri cui ha sempre fatto riferimento il nostro Paese: l’europeismo e l’adesione ai principi dell’Unione europea, l’Alleanza Atlantica, tanto più nel momento in cui in Europa si vive un sanguinoso conflitto, il rispetto delle regole comunitarie di Bilancio.

Per questo, ancora prima del voto, si è discostata da eccessi populisti, e ha mantenuto una “riservatezza” istituzionale apprezzabile. La transizione rispetto al Governo presieduto da Mario Draghi è stata più che mai “dolce”, su alcuni temi in continuità, come rivela la scelta di avvalersi della consulenza dell’ex ministro Roberto Cingolani sui delicatissimi dossier dell’energia e dell’approvvigionamento del metano. Così, a più di qualcuno è venuto il cattivo pensiero che la tanto evocata “agenda Draghi”, vero convitato di pietra della campagna elettorale, alla fine sia stata raccolta proprio da colei che aveva scelto, quasi da sola, la strada dell’opposizione.

Accanto, però, a questa identità “istituzionale”, non c’è dubbio che il Governo Meloni abbia un profilo di destra, con qualche lieve “sfumatura” di centro. A rivelarlo la composizione del Governo, e i profili, questi sì “sovranisti”, di alcuni ministri; il cambio di nome di alcuni Dicasteri (per quello che conta); la scelta dei presidenti delle due Camere; infine, lo stesso discorso di Meloni, martedì scorso. Un manifesto per una destra di Governo, né più né meno.

Inoltre, proprio lei, la nuova premier, collocata nel partito più a destra di tutto il Parlamento, ha dimostrato fin qui maggiore “moderazione” rispetto agli indisciplinati alleati. Matteo Salvini, che ha tanto lottato per entrare nel Governo, alla fine ha ottenuto le Infrastrutture, interessato più che altro dalla competenza sulla Guardia costiera e, quindi, sui porti, in modo da poter tornare a fare la voce grossa contro l’accoglienza dei migranti (e le Ong). Silvio Berlusconi ha letteralmente “incendiato” i giorni che hanno preceduto la nascita del Governo, con le dichiarazioni apparse “pro Putin”, pronunciate nell’incontro con i deputati di Forza Italia, registrate e poi diffuse. Ancora prima di partire, è stato chiaro che la navigazione, per l’Esecutivo e la nuova timoniera, non sarà facile. E che (con molta probabilità) da Salvini e Berlusconi arriveranno trappole e trabocchetti, più che mani tese. Senza escludere che, a un certo punto della legislatura, decidano di “staccare la spina” al Governo.

La speranza, allora, per il bene di tutto il Paese, è che davvero la premier sappia trovare la strada per una destra “responsabile” e “di governo”, ancorata ai valori occidentali e dell’Europa, attenta alle fragilità sociali e al lavoro, alla famiglia e alla natalità, lontana dalle scelte politiche di alcuni “colleghi” stranieri di estrema destra, europei e non, che tanto hanno esultato per la sua vittoria. Su questo occorrerà aspettare. E, naturalmente, vigilare, come è ovvio che sia in una democrazia. Molto dipenderà anche dalle opposizioni, attualmente deboli e sfilacciate, più che altro preoccupate di farsi la guerra tra loro, perfino disposte in alcuni settori ad aiutare la nuova maggioranza (lo si è visto nell’elezione alla presidenza del Senato di Ignazio la Russa). Eppure, prima o poi, dovranno tornare in gioco. Se non altro perché Meloni ha annunciato di voler proporre una riforma istituzionale, il semipresidenzialismo alla francese, che qualche anno fa era piaciuta alla sinistra. Il recente passato insegna che le riforme istituzionali hanno bisogno di tutti, e che le forzature si pagano. Tra le riforme, ce ne sono altre due particolarmente attese. La prima è quella dell’autonomia differenziata, che è nel programma di Governo (ma ciò valeva anche per i precedenti Esecutivi). Il presidente del Veneto, Luca Zaia, si augura che alle intenzioni seguano i fatti. In caso contrario, è possibile che il magma del disagio esistente nella Lega del Veneto, di fatto ignorata da Salvini nella composizione della lista dei ministri, arrivi a provocare una drammatica eruzione.

La seconda, è quella della Giustizia, proclamata dal nuovo guardasigilli, il trevigiano Carlo Nordio, figura dal curriculum, in questo caso, indiscutibile. In un tema così delicato, alla risolutezza degli intenti dovrà seguire una capacità di coinvolgimento e dialogo.

Resta, nei cittadini di tutti gli orientamenti politici, una convinzione: il momento è così delicato, nella spirale di guerra e crisi economica in cui ci dibattiamo, che nessuno può augurarsi un fallimento del nuovo Governo. Che merita gli auguri sinceri di buon lavoro.

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