Forum di Limena, vie di pace praticabili
Un dibattito interessante, a più voci, per riflettere sullo stato della guerra e la "voglia di pace", che non prevede scelte di comodo, né la possibilità di rifugiarsi in facili dichiarazioni di principio.

Anche una guerra può essere “comoda”. Una provocazione, ma fino a un certo punto, quella del Forum di Limena, realtà regionale che da qualche anno propone costanti occasioni di riflessione su tematiche sociopolitiche, che ha promosso sabato 25 marzo, nella consueta sede della parrocchia di Limena, alle porte di Padova, l’incontro intitolato “La nostra comoda guerra”. Mentre la popolazione ucraina, quella che è chiamata a decidere sul suo diritto di difesa e sulla propria resistenza, è reduce da un terribile inverno, nel nostro Paese essa è quasi diventata occasione di discussioni “da salotto”.
Invece, è proprio questo, mentre non mancano concreti rischi di escalation, il momento di riflettere a fondo sulla pace che vogliamo. Consapevoli che, lo vogliamo o no, in questa situazione non esistono scelte “comode”, sia che siamo favorevoli all’invio di armi in Ucraina, sia che desideriamo batterci per una più concreta prospettiva di pace. In apertura, in qualità di coordinatore del Forum, il sociologo Alessandro Castegnaro ha fatto notare che ci sono idee diverse sulla modalità di affrontare questo conflitto, anche tra i cattolici democratici, auspicando dialogo e non “polarizzazione” tra “profeti” e “realisti”, e avvertendo dei limiti sia di chi è portavoce di una “isteria di guerra”, ma anche di chi propone la pace in modo ugualmente “oltranzista”, poiché “non tutte le voglie di pace sono condivisibili”.
Secondo Castegnaro, a una linea radicalmente pacifista, che privilegia un approccio di principio senza, oggi, formulare vie concrete di pace, e a una linea “bellicista” che poco si interroga sul possibile oltrepassamento della cosiddetta “linea rossa” (sulla quale a decidere sarebbe Putin) e usa toni quasi da “scontro ultimativo e metafisico”, è preferibile l’approccio di chi tenta “vie di pace praticabili”, anche se parziali e oggi non risolutive.
Vie di pace come quelle testimoniate dai relatori della mattinata. Paolo Bergamaschi, già consigliere politico alla Commissione Esteri del Parlamento europeo, da grande conoscitore dello scenario esteuropeo e mediorientale, ha ripercorso la storia degli ultimi decenni, caratterizzata dalla scelta di Mosca di accendere conflitti interni “per procura” in quelle Nazioni ex sovietiche (Moldavia, repubbliche del Caucaso e poi l’Ucraina) che si adoperavano per allargare gli spazi di accordo con l’Unione europea. E ha evidenziato la mancanza di un’opinione pubblica europea, nel momento in cui le Nazioni dell’Est hanno un approccio molto diverso ai Paesi occidentali. Bergamaschi, che nella sua azione si è spesso adoperato per dare vita nel Continente a corpi civili di pace, ha ammesso di avere oggi una posizione “realista”: “Ho vissuto da dentro le Istituzioni, negli anni Novanta, il genocidio di Srebrenica, e mi sono spesso chiesto se noi, italiani ed europei, avremmo dovuto intervenire prima e in modo diverso. Oggi la strada è cercare uno spiraglio di pace, sapendo che sarà inevitabilmente una pace armata”.
Marianella Sclavi, portavoce del Movimento europeo di azione non violenta, ha portato una testimonianza su quanto questa realtà sta facendo in Ucraina. “Con la popolazione abbiamo stabilito un rapporto di fiducia, non vogliamo giudicare, ma ascoltare. A partire da questo, si aprono porte”. Certo, attualmente in Ucraina, “tutti sono convinti della necessità della difesa armata” e per uscire in qualche modo dal conflitto occorrerà “cambiare il quadro. Personalmente, ho notato qualche piccola evoluzione”. Di sicuro, secondo la pacifista, “molti pacifisti italiani hanno lo stesso vizio degli Ebrei che nel deserto rinfacciavano a Mosè che sarebbero tornati volentieri a mangiare cipolle, anche se oppressi dagli Egiziani. C’è l’idea che, in fondo, si debba cedere al prepotente”. Certamente, però, “la soluzione alla guerra non potrà che venire dalla diplomazia, e serviranno negoziati che funzionino. Sarebbe servita molto un’Europa federale, con un Esercito europeo e con la presenza di corpi civili di pace”.
Dal biblico Libro dell’Esodo è partito anche Stefano Ceccanti, parlamentare del Pd fino a qualche mese fa (in tale veste ha votato per l’invio delle armi in Ucraina) e docente di Diritto costituzionale alla Sapienza di Roma: “E’ vero che nessuna posizione è risolutiva, ma dobbiamo scegliere la cosa più adeguata a partire dall’attuale situazione. Lo stesso viaggio degli Ebrei verso la Terra promessa, come la legge Michael Walzer, era un bene possibile, non la scelta del bene assoluto, che in politica non esiste”. Rispetto alla guerra, “tutti i cattolici democratici e tutti i partiti socialisti, in Europa, sono per l’aiuto armato. Anche, per esempio, la spagnola Yolanda Díaz di Podemos. Solo in Italia c’è questo dibattito. Una cosa è riconoscere una posizione necessariamente ‘terza’ al Vaticano e al Papa, che fa quello che deve fare. Un’altra è lo spazio di intervento dei cattolici impegnati in politica, si tratta di responsabilità diversa”. Da giurista, Ceccanti ha spiegato che il “ripudio della guerra” scritto in Costituzione pone, prima di tutto, il tema del “monopolio legittimo dell’uso della forza”, non si tratta di un’opposizione neutralista. La Costituzione, secondo il docente, riconosce il diritto alla legittima difesa, come quello che stanno esercitando gli ucraini, e al tempo stesso quello dei soggetti sovranazionali chiamati a intervenire in caso di necessità: l’Onu, in primo luogo, e poi, in modo sussidiario, la Nato.
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