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Fuga dei dipendenti dai municipi

Nessuno vuole più fare il dipendente comunale. Concorsi senza candidati, bandi deserti, pensionamenti e dimissioni sono ormai all'ordine del giorno. Gli Enti locali cercano rimedi, come ad esempio il servizio unico di gestione dei concorsi da parte della Provincia di Treviso e poi un percorso formativo di preparazione ai concorsi pubblici lanciato dall'Associazione Comuni della Marca. 

Fuga dei dipendenti dai municipi

Nessuno vuole più fare il dipendente comunale. Concorsi senza candidati, bandi che vanno deserti, pensionamenti e dimissioni. Gli Enti locali da mesi devono fronteggiare da un lato il continuo esodo del personale, dall’altro la quasi impossibilità di rimpiazzare con i giovani chi se ne va. E questo proprio mentre le scadenze del Pnrr sono implacabili, e non ci possiamo permettere ritardi. Dal 2018 ad oggi sono stati persi 150 posti di lavoro nella Marca e il fabbisogno reale è più del doppio. Alcuni dati sono paradossali, perché in provincia di Treviso alcuni Comuni virtuosi e con i conti sani hanno meno personale di quanto previsto dal Ministero dell’Interno per le Amministrazioni in dissesto finanziario. E’ il caso di Zero Branco, che ha 34 dipendenti in servizio, metà del numero previsto per un Comune in dissesto di pari dimensioni. Il Comune di Valdobbiadene, con i suoi poco più di 10 mila abitanti, se fosse in squilibrio finanziario dovrebbe avere 60 dipendenti: ne ha solo 47. Ad Arcade, i dipendenti comunali sono 11: il decreto del Ministero dell’Interno per i Comuni di piccole dimensioni in difficoltà finanziarie ne prevede 28.

La denuncia dei sindacati

“E’ una dinamica che ci preoccupa già da tempo - commenta Silvia Carraretto, della segreteria Cisl Fp Belluno Treviso -, ma che purtroppo non ci sorprende: abbiamo sollevato il problema della fuga dal pubblico più di un anno fa, avanzando anche diverse proposte per arginare il problema, ma non siamo stati ascoltati. E questi sono i risultati: Comuni talmente sguarniti che fanno fatica ad affrontare la normale amministrazione, e quindi a garantire i servizi”.

Alla radice della questione, molteplici cause: “La mancanza di percorsi di crescita professionale e salariale - sottolinea Carraretto - l’assenza di un welfare contrattuale al passo con i tempi e con le nuove esigenze dei giovani lavoratori e delle lavoratrici, l’arretratezza sul fronte della digitalizzazione, lo screditamento della figura del dipendente pubblico perpetrata per anni dalla classe politica, il blocco delle assunzioni che è stato in vigore per molti anni, frutto della spending review, ma anche di una politica miope e incapace di fare un’adeguata programmazione”. Basti pensare che il contratto del pubblico impiego scaduto nel 2018 è stato rinnovato lo scorso agosto per il triennio 2019-2021, quindi di fatto è già scaduto nuovamente e non tiene conto di uno scenario socio-economico cambiato, a partire dall’inflazione.

Riguardo al salario, è evidente che provvedimenti come la flat tax (tassazione al 15%, fino a 85 mila euro di reddito) spinga i professionisti, di cui i Comuni hanno bisogno, a preferire l’attività autonoma. Nel pubblico, “entri a un livello e rimani per sempre a quel livello e con quello stipendio - fa notare la segretaria Fp -. I salari, inoltre, sono bassi e le responsabilità tante: chi entra in un livello intermedio guadagna mediamente 1.400 euro al mese, oltre a dover stipulare delle polizze assicurative per i rischi connessi al ruolo ricoperto”. Un altro motivo alla base della disaffezione dal pubblico impiego è la mancanza pressoché totale di welfare contrattuale e di politiche per la conciliazione dei tempi di vita lavoro e la flessibilità. “Questo pesa molto - sostiene Carraretto - soprattutto perché le aziende private in questi anni hanno dimostrato grande sensibilità rispetto a questi temi”.

Marta Casarin, segretaria generale della Funzione Pubblica Cgil di Treviso, conferma: “Si tratta di una situazione complicata e preoccupante sul fronte della gestione della macchina amministrativa pubblica locale e dell’erogazione dei servizi ai cittadini, frutto di anni di blocco delle assunzioni, scarsità di trasferimenti dello Stato, mancata lungimiranza nella programmazione del personale tenuto anche conto delle opportunità che offrono le fusioni dei Comuni, rinnovi contrattuali tardivi, che si combinano con un atteggiamento denigratorio nei confronti dell’operare dei dipendenti pubblici, perpetrato anche da una certa parte politica rendendo poco o nulla attrattiva l’occupazione nelle PA”.

Certo, sono “apprezzabili la misurazione dei fabbisogni degli Enti locali e l’attività formativa per candidati e candidate che Associazione Comuni e Centro studi della Marca ha posto in essere - continua Casarin - ma questo non basta per aggiustare le derive e disfunzionalità di un sistema che sta mettendo a rischio la macchina amministrativa. Per invertire la rotta sono necessari correttivi coraggiosi e soprattutto pragmatici, come una seria riforma istituzionale che imponga un minimo di residenti per comune e che conduca alle fusioni di quelli di dimensioni più ridotte, che oggi faticano a stare in piedi”.

Fusioni da incentivare

La diminuzione del numero dei Comuni (200 in meno dal 2001 ad oggi) viene in effetti considerata insufficiente, in particolare in un contesto in cui i piccoli Municipi faticano sempre più ad erogare servizi di qualità ad una popolazione in continuo declino. E’ il parere di Antonio Ferrarelli, presidente della Fondazione Think Tank Nord Est, secondo il quale è necessario un intervento straordinario: “Innanzitutto va confermato e rafforzato l’attuale sistema di incentivi e agevolazioni, ma soprattutto, attraverso la modifica del Testo unico degli Enti locali (Tuel), va introdotto l’obbligo, a livello regionale, di predisporre un piano di riordino istituzionale territoriale mediante progetti di fusione degli Enti locali. Le proposte vanno condivise con i Comuni che possono giocare un ruolo fondamentale, definendo assieme ai Municipi confinanti il perimetro del nuovo Ente”. 

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