Intervista al vescovo Paolo Bizzetti su Turchia e Siria devastate dal terremoto
In merito al terribile terremoto che sta devastando Turchia e Siria, con un bilancio temporaneo di oltre 20 mila morti, abbiamo sentito il racconto del vescovo Paolo Bizzeti, vicario apostolico in Anatolia.

“La situazione purtroppo va peggiorando di ora in ora. A Iskenderun ora manca l’acqua potabile, si va verso un’emergenza sanitaria. La gente è isolata, manca l’energia elettrica per i computer e i telefonini iniziano a scaricarsi”. Il vescovo Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, già direttore del centro Antonianum dei gesuiti di Padova, si trovava in Italia al momento della tremenda scossa di magnitudo 7,8 sulla scala Richter che nella notte tra domenica e lunedì scorsi ha sconvolto il Sud-est della Turchia e il Nord della Siria. Dall’Italia ora coordina le operazioni in loco, anche nelle vesti di presidente di Caritas Turchia, ma la mente è ad Alessandretta (Iskenderun) sede del grande vicariato apostolico di cui padre Paolo è vescovo da sette anni, dopo l’assassinio, nel 2010, del vescovo Luigi Padovese.
Al momento di andare in stampa, sono già oltre 10 mila le vittime accertate del sisma. Le condizioni di strade e aeroporti non consentono agli aiuti umanitari e al personale di raggiungere le località più colpite. E’ partita la mobilitazione internazionale per sostenere la popolazione, la Cei ha stanziato 500 mila euro e avviato una colletta attraverso Caritas Italiana.
Fin dai primi istanti, le parole di mons. Bizzeti hanno dato l’idea della drammaticità della situazione. “La nostra cattedrale è completamente crollata, l’episcopio con i locali annessi è del tutto inagibile. Tutto attorno ci sono almeno duecento case rase al suolo, dei tre ospedali cittadini uno è crollato, uno è inagibile e il terzo è oberato di lavoro. La triste conta delle vittime è destinata a salire. Ma dobbiamo consolarci, il vicario generale, le quattro monache e le altre persone che abitano in episcopio, sono tutti vivi: non è scontato”.
La situazione è grave ad Antiochia, chiesa dov’è nato il cristianesimo come lo conosciamo oggi, dove sono state elaborate la missione e la prima teologia. “Ancora non sono riuscito a contattare il parroco di Antiochia – aggiunge il gesuita –. Una città già due volte sconvolta da terremoti, nella storia. Potremmo dire nulla di nuovo sotto il sole, ma quando ci si trova a vivere in prima battuta eventi così forti, si prova un forte shock”.
Non è semplice comprendere che cosa significhi per una piccola comunità cristiana come quella anatolica perdere tutti i riferimenti. “Siamo una Chiesa molto povera, quando sono arrivato l’ho trovata ridotta proprio al lumicino. In questi anni abbiamo lavorato molto, anche recuperando degli edifici che oggi si sono dissolti a causa di questo sisma. Vedi, noi abbiamo pochissime strutture, perdere una chiesa in un Paese in cui ce ne sono pochissime e non avere più nemmeno la possibilità di ospitare pellegrini e persone che vengono ad aiutarci, è il vero problema. La vera sfida l’avremo nei prossimi mesi”.
Nel frattempo, dalla città al confine con la Siria arrivano anche notizie di grande vicinanza e solidarietà nella popolazione: “Ieri il vicario generale, padre Antoine Ilgit, ha celebrato una messa in cui le persone si sono incontrate e consolate. Questo è il momento in cui si recupera ciò che è davvero essenziale”.
Spostando lo sguardo a est, nella vicina Gaziantep, dove si è verificato l’epicentro del sisma, si registrano vittime tra le famiglie di rifugiati siriani. “Persone che abbiamo soccorso, che conosciamo, vite già distrutte dalla guerra che oggi si trovano nuovamente messe alla prova. Ci sono mamme sole i cui figli sono ancora sotto le macerie. Ciò di cui abbiamo bisogno è davvero tanta solidarietà. Da una situazione come questa non si riesce a uscire con le proprie forze”, conclude padre Paolo.
Nel sito dell’associazione Amici del Medioriente, fondata da mons. Bizzeti, www.amo-fme.org si trovano tutti i riferimenti per donare al Vicariato apostolico di Anatolia.
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