La forza dentro di me
Emanuela racconta la sua battaglia vinta contro il tumore. Una rinascita. Personale. Di vita. Voluta con impegno, dedizione, investimento

Emanuela ha vinto la sua battaglia contro il tumore. E, scrivendo di pugno e di pancia la sua storia, ha poi vinto anche il concorso nazionale “Donna sopra le righe”. Moglie, madre, fino a poco tempo fa bibliotecaria, counselor. “Marzo” è il testo che racconta i giorni difficili dell’operazione, della convalescenza e delle terapie: cattura dunque il momento, istintivo, denso di emozioni e di carne, a tratti crudo, in altri parti delicato come un petalo di rosa. “Il tumore mi ha cambiato, anche se faccio ancora fatica a capire come”, racconta Emanuela.
Giorni bui…
Sono stati giorni lenti in cui parole nuove ed inquietanti continuavano a ballare dentro la sua testa: svuotamento totale dell’ascella destra necessario dopo la quadrantectomia. Così scrive: “Cerco di sentire a tatto la mia parte dolorante, ma le bende mi impediscono di donarle conforto o, forse, la mia mano sinistra ha paura di sentire il vuoto, di incontrare quel pezzo di corpo mortificato”. Il suo ricordo sull’intervento è altrettanto lucido: “Il chirurgo mi mette una mano sulla spalla e mi dice: «Ci siamo». E l’infermiera: «Pensi alla cosa più bella della sua vita» e io vedo il sorriso della mia bimba, i suoi capelli biondi correre in un prato: è questa la forza che ritroverò più tardi?”, si chiede Emanuela, prima di cedere all’anestesia. Quando torna in stanza, ricomincia la salita: “Ci si abitua a tutto, ai tentativi dolorosi di trascinarti in bagno senza riuscire a guardarti allo specchio, al bisogno di trovare dentro al letto la tana e restare in silenzio come un animale ferito. Pochi essenziali metri quadrati trasformati in un nuovo mondo, mentre anche il drenaggio diventa parte di te” lungo quel corridoio, avanti e indietro. “Anche prima – annota Emanuela – ero un essere davvero piccolo” e per nulla onnipotente. “Sento una paura terrificante, quella di perdere tutto e tutti, di non farcela, di non riuscire più a sentirmi una donna «normale», paura per i figli, per il proprio compagno di vita.
… ma ricchi di affetto
Sono giorni difficili, dove ogni piccolo gesto torna ad essere una grande conquista. E dove, per alcuni versi, Emanuela si sente accompagnata, sostenuta, curata. I familiari, prima di tutto, poi anche le amiche, la prendono per mano, le vogliono bene e quel bene fa nascere nuova vita. E’ stato come “un grande tabarro di lana” che l’ha avvolta e aiutata. “Mi sono sentita fortunata”, forse a tratti sola ma mai abbandonata. Quel che è vero è che non ci si può arrendere. Scrive ancora: “Non dobbiamo guardare alla montagna da scalare, non abbiamo le forze in questo momento. Succederà, un po’ alla volta. Troveremo la forza per muovere pochi passi, per respirare ossigeno a piccole dosi e non sprecarlo. All’anima serve guardare al futuro, serve l’amore, la stanza piena di affetti”.
Sperare, infinito presente
“Quando la casa mi riaccoglie tutto rallenta, il ritmo del respiro, i gesti, le voci; comincia finalmente il tenero tempo della ripresa. Sento il mio corpo piano piano crescere, reagire, imparare, muoversi. Anche i pensieri di fanno buoni. Anche se l’attesa di qualcosa di sconosciuto è in agguato”. Le terapie, quell’ago “sotto la pelle che ti devasta la vita per restituirtela”. Emanuela racconta: “Non puoi sapere ancora, quanto dolore devi attraversare, quando i tuoi capelli cadranno, quando ti guarderai allo specchio e vedrai solo due grandi occhi persi nel vuoto e vorrai nasconderti a tutti mentre il tuo segreto sarà visibile a tutti”. Avrebbe voluto proteggere i suoi figli, di non mostrare loro i momenti bui della chemio. “Li guardo dormire e spero di riuscire ad aiutarli a conoscere l’amore, la generosità, la sensibilità, l’abbraccio”.
La luce della lanterna
Finiscono i day hospital oncologici, finisce il ciclo di terapie. “La sera apparecchio la tavola: osservo i 4 bicchieri, i 4 piatti e mi sento felice. E’ qui la mia forza per ricominciare, per andare incontro ai nuovi giorni. Poi lentamente apro le finestre, le porte, accendo due lanterne sul davanzale: un piccolo segnale di ringraziamento per tutti gli affetti, vicini e lontani, perché in ogni tempo nella nostra casa possano trovare una calda accoglienza”.
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