La guerra infinita della Repubblica democratica del Congo, di cui nessuno parla mai
Il Papa sarà in visita in Congo e nel Sud Sudan dal 31 gennaio al 5 febbraio. La sua missione sarà estremamente difficile. Gli abitanti di questa zona dell'Africa, martoriata da anni di guerra, lo attendono con impazienza.

La regione dei Grandi laghi è storicamente, purtroppo, una zona di conflitti. Fin dalla metà degli anni novanta la parte orientale della Repubblica democratica del Congo (RdC) - Paese che per dimensioni è grande quanto l’Europa occidentale - è stato al centro di violenti scontri tra milizie armate congolesi e straniere, che hanno provocato più di dieci milioni di morti e circa due milioni di sfollati e profughi. Dal 31 gennaio al 3 febbraio il Papa sarà nel Paese, e poi in Sud Sudan, per compiere il viaggio inizialmente programmato nel luglio dello scorso anno.
La situazione nella RdC è molto difficile. Almeno 200 mila civili sono fuggiti da novembre 2021 a oggi, soprattutto nelle regioni orientali del Nord Kivu e dell’Ituri per gli effetti della pandemia, dei cambiamenti climatici e degli scontri interni. Ad aprile 2022, rappresentanti del Governo di Kinshasa e dei gruppi armati delle province dell’Ituri, del Nord Kivu e del Sud Kivu si sono incontrati a Nairobi, in Kenya. La milizia M23, sostenuta dal Ruanda e al centro delle tensioni tra i due Paesi, ha abbandonato i colloqui, rallentando i negoziati di pace. Un ulteriore tentativo di incontro tra le parti è andato a vuoto.
Dopo l’occupazione della città frontaliera di Bunagana, che va avanti da circa 5 mesi, da fine ottobre le città strategiche di Rutshuru e Kiwanja, nella provincia congolese del Nord Kivu, sono sotto il controllo del gruppo di miliziani M23 che così controlla l’importante asse stradale, la route nationale 2. La stessa strada che fu teatro dell’imboscata che un anno e mezzo fa costò la vita all’ambasciatore italiano Attanasio, al carabiniere di scorta Iacovacci e all’autista del Programma alimentare mondiale Milambo. Quella stessa strada tre mesi dopo fu tagliata in due dall’eruzione del vulcano Niyragongo.
Da fine novembre i miliziani di M23 sono a qualche decina di chilometri da Goma, capoluogo del Nord Kivu con oltre un milione di abitanti, e a un centinaio di chilometri dalla capitale Kinshasa.
Tra le ragioni principali di questo conflitto ci sono dispute legate agli interessi economici per le enormi risorse minerarie e ai tentativi di destabilizzare il Paese in vista delle elezioni congolesi previste per il 2023.
La Repubblica democratica del Congo è un attore chiave nel continente africano: è il secondo Paese più grande, il terzo più popoloso, può contare su enormi risorse naturali e ha uno dei tassi di crescita più vigorosi della regione. Ma anche le sfide sono immense. A che punto è il Paese? Abbiamo provato a capirlo insieme a John Mpaliza, attivista per i diritti umani di origine congolese, conosciuto come “Peace Walking Man - l’uomo che cammina per la pace”.
Qual è la situazione politica oggi? Si può ancora parlare di unità nazionale?
La RdC è vittima di un conflitto internazionale che va avanti dalla sua creazione, nel 1885 quando il Paese, in occasione della Conferenza di Berlino, venne regalato al re Leopoldo II del Belgio che lo amministrò come sua proprietà privata per ben 23 anni, arrivando a far massacrare circa 10 milioni di congolesi durante lo sfruttamento di questo Paese, in particolare nelle piantagioni di caoutchouc. Lo Stato indipendente del Congo era una zona franca dove chiunque poteva fare ciò che voleva. L’importante era pagare il dovuto al re Leopoldo II. I crimini contro la popolazione sono purtroppo continuati in Congo con la colonizzazione belga (1908-1960), la più feroce che si conosca. Nonostante l’indipendenza, con l’uccisione del suo primo ministro Patrice Lumumba il 17 gennaio 1961 fu ipotecato il futuro di questo gigante nel cuore dell’Africa. Da allora, hanno imposto al popolo congolese i governanti che non ha mai potuto scegliere con vere elezioni libere e democratiche. L’attuale presidente Felix Tshisekedi e il suo predecessore, Joseph Kabila, hanno tradito il popolo congolese ed hanno venduto il paese ai migliori offerenti. La corruzione dilaga ai vertici dello Stato. Il Ruanda, l’Uganda e altri vicini vengono usati come base di destabilizzazione e come attuatori dei progetti di balcanizzazione del Congo. L’unità nazionale che abbiamo ereditato da Mobutu, dittatore pure lui, messo da parte dalle potenze occidentali quando non serviva più, è l’unica ragione per cui il progetto di balcanizzazione di questo Paese è per ora destinato a fallire.
Perché su questo Paese c’è poca attenzione da parte dei media?
La RdC viene considerata uno “scandalo geologico”. E’ un Paese con giacimenti di diamanti, oro, coltan, cobalto, rame, stagno, manganese, piombo, carbone, uranio, petrolio. E’ “potenzialmente” il Paese più ricco del mondo, un autentico paradiso terrestre: non per i congolesi però, che vivono l’inferno, ma per le multinazionali. I media mainstream sono parte di quel complotto internazionale di cui è vittima il Congo. Altrimenti, come spiegare il silenzio su questo conflitto che va avanti dal 1996 e che ha già fatto più di 10 milioni di vittime, di fatto il più sanguinoso dopo la Seconda guerra mondiale?
Secondo le agenzie di rating internazionali il Paese non è molto affidabile, ma tutti vogliono mettere mano alle sue enormi risorse naturali. Mancano le infrastrutture, ospedali, scuole e l’accesso all’acqua potabile non è per tutti. Come spiegare queste contraddizioni?
Secondo le agenzie di rating, anche l’Italia non è affidabile... Il loro giudizio è guidato dagli speculatori finanziari, dai grandi Istituti bancari internazionali. In realtà, il Congo è affidabile per via delle sue risorse naturali, che gli permetterebbero di ripagare qualsiasi debito. I Paesi occidentali garantiscono la loro economia, le loro monete con l’oro accumulato nelle loro banche centrali. Certo, questo Paese non è affidabile politicamente e amministrativamente. La mancanza di infrastrutture, ospedali, scuole e servizi serve a mantenere i congolesi in uno stato schiavitù senza catene.
Crede che la visita del Papa potrà portare anche la fine di questo silenzio nel mondo e una maggior attenzione su quello che succede in Congo?
Innanzitutto, noi congolesi aspettiamo questa visita con molta impazienza, perché pensiamo che il suo arrivo in Congo ci permetterà di voltare pagina. Speriamo che con la presenza di papa Francesco anche la stampa internazionale ne parli e che le autorità internazionali prendano finalmente le misure necessarie per fermare queste atrocità, che sono una vergogna per la nostra umanità. E’ chiaro che il viaggio del Papa nei luoghi dove si compie il genocidio congolese, nella terra di Christophe Munzihirwa (ndr arcivescovo congolese ucciso il 29 ottobre 1996, invocato come santo martire) e di tantissimi altri martiri sarebbe un evento che può aiutare a dire la verità e fare giustizia, senza i quali è davvero difficile parlare di pace nella regione dei Grandi laghi.
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