La pace in Ucraina è ancora lontana, purtroppo
Ad un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, la guerra ha cambiato notevolmente l'Europa e l'ha costretta a guardarsi con occhi diversi. Purtroppo, la speranza della pace appare ancora lontana.

Un anno fa, il 24 febbraio, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale sono risuonate le sirene antiaeree a Kiev. Lo stesso è avvenuto anche lunedì scorso, durante la visita a Kiev del presidente americano Joe Biden, che ha annunciato nuovi aiuti militari e finanziari, e ha ribadito che la sopravvivenza della Nazione ucraina è intrinsecamente legata ai valori di indipendenza, democrazia e libertà su cui si basa l’ordine internazionale.
A un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, la guerra ha cambiato notevolmente l’Europa, costringendola a vedersi con occhi diversi. Nell’arco di un anno, siamo stati obbligati a smontare le nostre convinzioni e l’idea di futuro dell’Europa post-Covid basato sulla transizione energetica e sulla crescita economica. Abbiamo aumentato i bilanci militari, rinunciato al gas e al petrolio russi (che fin prima consideravamo condizione di non belligeranza, in quanto strategico partner commerciale), riabilitato Paesi come fornitori di gas in cambio di soprassedere sui diritti umani.
E allora - pur se inopinabile che l’Ucraina sia stata invasa e attaccata - è evidente che l’attività diplomatica di Zelensky con l’Occidente sia speculare a quella di Vladimir Putin con la Cina, il mondo arabo e l’Africa. E’ molto difficile che la guerra possa concludersi nei prossimi mesi con un trattato che stabilisca una pace duratura, considerato che la guerra è iniziata de facto con il saggio che il presidente Putin ha scritto nell’estate del 2021, quando ha riaffermato che russi e ucraini sono lo stesso popolo. Piuttosto, si intravede un logoramento dell’Unione europea sempre più divisa sul da farsi con l’Ucraina.
Anche se una dozzina di giorni fa la decisione di alcuni Paesi europei di fornire carri armati Leopard era stata appena salutata come “storica”, tale notizia veniva superata - e relativizzata - dalle richieste di Zelensky di aerei da combattimento, missili a lungo raggio, navi da guerra e sottomarini. Le invocazioni d’aiuto, drammatiche quanto comprensibili, da parte dell’Ucraina invasa in violazione del diritto internazionale hanno trovato finora in Occidente l’eco prevedibile. Ci si chiede: fino a quando?
Tra le tante parole che ha detto Putin nel suo discorso martedì 21, gli analisti sono stati colpiti dall’affermazione che “più sistemi a lungo raggio riceverà l’Ucraina, più saremo costretti a spingere lontano dai nostri confini la minaccia”. Essa conferma che l’impostazione politica russa rimane quella del primo giorno di invasione, continuando la retorica narrativa della necessità di proseguire l’operazione speciale, in quanto l’Occidente continua a minare l’integrità territoriale e politica della Russia, volendo mettere il proprio avamposto in Ucraina.
Tra propaganda interna, bolscevismo storico e mezze verità sulle reali perdite e difficoltà sul campo, Putin ha cercato di rafforzare il consenso interno, continuando a evitare di parlare di guerra. Ha sottolineato la necessità di allontanare le truppe dal fronte, perché la Nato e i Paesi occidentali stanno fornendo batterie di missili a lungo raggio che potrebbero colpire i soldati russi. Per marcare ancor di più le distanze delle diplomazie, Mosca annuncia di voler uscire dal trattato sulle armi nucleari.
In tutto questo, appare prematura la proposta italiana lanciata nelle stesse ore a Kiev dalla nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni di una conferenza sulla ricostruzione da tenersi ad aprile, quando la guerra continua e si sta balcanizzando!
L’auspicio del cardinale Mateo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, a un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, è che “si intensifichi la spinta verso il dialogo”, altrimenti “il rischio del nucleare diventa incombente”. Il cardinale aggiunge poi che “la pace è sempre possibile, è difficile ma possibile. Non c’è vita senza la pace, e la guerra mette in discussione tutto. La via del dialogo e della pacificazione è possibile per tutti: dobbiamo essere artigiani di pace e architetti di pace. Se diventiamo più artigiani di pace, ci saranno anche più costruttori di pace”.
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