Le "ferite" dei giovani in questo nostro tempo di precarietà
Intervista a don Bruno Bignami, direttore dell'Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro della Conferenza episcopale italiana, recentemente ospite delle Acli veneziane.

“Orizzonti di speranza”: così è intitolato il percorso formativo delle Acli veneziane per operatori del sociale che si sta svolgendo in queste settimane. Particolarmente significativa la presenza di don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale della Conferenza episcopale italiana (Cei) per i problemi sociali e del lavoro, che ha parlato di “Sfide ambientali e sociali nel terzo millennio alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa nelle due encicliche di papa Francesco: la Laudato Si’ e Fratelli tutti”.
A margine dell’incontro gli abbiamo chiesto qualche riflessione su quanto si vive in queste ore, a cominciare dal dramma dei migranti morti nel naufragio di Cutro. Per don Bruno “dobbiamo tornare a convertirci perché questi fatti tragici che avvengono ahimè di sovente esprimono una sorta di siccità morale, cioè l’incapacità di leggere i segni dei tempi e saperli cogliere come opportunità, che ci fa chiudere gli occhi con mille paure e voltarci dall’altra parte così da non vedere e sentire uomini, donne, bambini che chiedono solo di essere accolti per quello che sono. Torna così il grande messaggio evangelico del Samaritano, cioè se siamo capaci di farci muovere le viscere dalla presenza del fratello nel bisogno, ovvero chiudiamo gli occhi e il cuore davanti a lui. Ecco, direi che il Samaritano, come dice papa Francesco nella Fratelli tutti, è il paradigma del modo con cui vivere la fede, guardare la storia e la realtà. Se non sappiamo lasciarci convertire da questo testo evangelico, dalla parabola evangelica, guardando così ai fratelli con lo sguardo e la passione del Samaritano, abbiamo perso in partenza tutti”.
Come vede la situazione del nostro Paese, o meglio qual è l’impressione del nostro Paese dal suo osservatorio?
Lo sguardo è preoccupato, ma non è una preoccupazione di schieramento politico, quanto una preoccupazione che deriva dalla perdita di consapevolezza della gravità con cui la gente si è disaffezionata a tutto, per ogni cosa e situazione. Questo è un momento in cui bisogna investire molto sul tema della partecipazione e della qualità della democrazia nel nostro Paese. Non a caso la Chiesa Italiana si sta preparando alla 50ª Settimana Sociale che si terrà a Trieste nel luglio del prossimo anno 2024. Avvertiamo tutta l’urgenza di riflettere su questo tema per cui non si vorrà fare tanto una Settimana Sociale ricca di convegni, quanto piuttosto ricca di esperienza partecipativa, perché la carenza di partecipazione che avvertiamo nella società è anche all’interno della comunità cristiana, cioè la comunità cristiana ha un deficit di linguaggio, di partecipazione politica e sociale e su questo bisogna fare molto di più, ma non è solo il fare di più, è proprio renderci consapevoli che la Fede cristiana o è incarnata nella società oppure non è Fede cristiana è altro.
E come vede il mondo del lavoro in questi tempi?
La preoccupazione principale è per l’occupazione giovanile, vista l’emorragia che abbiamo non solo dal Sud d’Italia, ma anche dalle aree interne di ogni parte del Paese, comprese quelle del Nord, da dove i giovani si spostano per le aree metropolitane oppure emigrano in altri Paesi. Questa è una perdita notevole, in un momento in cui l’Italia vive un inverno demografico significativo. E’ ovvio che investire molto sulla formazione dei giovani e poi questi, una volta laureati e formati, vanno in altri Paesi, dimostra una miopia delle politiche del lavoro, della qualità del lavoro e delle opportunità lavorative. Ecco allora che la cultura d’impresa, nel senso vero della parola “intra-presa”, dell’intraprendere qualcosa, rischia di essere perduta in nome di una genericità di proposte di lavoro e che invece ha bisogno di essere riqualificata in termini di consapevolezza maggiore di cosa significa lavorare anche, ad esempio, nella prospettiva delle varie transizioni che stiamo vivendo, non ultime quella ecologica e digitale. Ecco allora che il lavoro, che subisce grandi trasformazioni, e la cultura del lavoro in questa prospettiva devono essere rimotivate e ricomprese anche dalla comunità cristiana, che può ancora fare molto in questo contesto.
Legato al tema del lavoro, c’è il tema della precarietà. Cosa ne pensa?
Questo è un grande tema, in particolare quello relativo alla precarietà dell’accesso al mondo del lavoro da parte dei giovani che è attraversata da ferite e sofferenze, come le chiama papa Francesco, che non sono sufficientemente considerate. Mi spiego meglio. Quando oggi guardiamo al mondo dei giovani, spesso guardiamo alle loro ferite affettive, alla fatica di costruire legami, alla fatica che hanno nel progettare la loro vita in termini di matrimonio, famiglia, figli. Poi ci sono le sofferenze affettive familiari. Su tutte queste abbiamo mille attenzioni pastorali. Invece, per quanto riguarda le ferite che sono legate alla precarietà del mondo del lavoro che partono dall’impossibilità di trovare un contratto a tempo indeterminato proprio nella fase in cui uno progetta la vita futura, nella comunità cristiana non c’è il “Samaritano” che allevia sofferenze e fatiche. Finché rimaniamo in questa situazione, viviamo ingiustizia e discriminazione che non sono certamente in linea con quanto insegna la Chiesa e con una visione antropologica che appartiene al Cristianesimo.
Lei è anche il Postulatore della Causa di beatificazione di don Primo Mazzolari, una delle figure più significative del cattolicesimo italiano nella prima metà del Novecento. Può dirci un pensiero sulla sua attualità?
Don Primo Mazzolari rappresenta per me e spero per la Chiesa in Italia una grande figura di riferimento soprattutto per la sua capacità di vivere un cristianesimo incarnato nella storia, cioè un cristianesimo attento ai cambiamenti e alle trasformazioni, che non si chiude a riccio su se stesso, ma è in continuo ascolto dei lontani, dei poveri e che promuove anche una Chiesa capace di condividere i poveri e la vita dei poveri e non solo semplicemente di parlare dei poveri. Quando questo avviene, e Mazzolari ce lo insegna, c’è una rinnovata evangelizzazione, una rinnovata spinta evangelica a condividere la vita degli uomini nella loro storia.
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