Il personaggio: Silvia Lucchesi ha arbitrato una partita di calcio maschile
“Strano che facciamo ancora notizia”

“Arbitro o arbitra non fa differenza. L’importante è che ci sia rispetto nelle relazioni e nell’uso delle parole”. Non ne fa una questione di genere grammaticale Silvia Lucchesi, che lo scorso 24 aprile, a 23 anni non ancora compiuti, ha diretto per la prima volta una partita del campionato di calcio maschile di Prima Categoria tra Virtus Romano e Azzurra Sandrigo. “E’ un ruolo che mi piace. Per indole sono una persona che ama farsi rispettare, far rispettare le regole e avere sotto controllo le situazioni. Ho iniziato negli anni del liceo, dopo aver provato anche a giocare a calcio nell’unica squadra femminile della zona, a Barcon. Ma non c’era il clima giusto”. In famiglia lo sport è entrato anche nelle scelte di due dei suoi fratelli minori, che frequentano uno il liceo sportivo, l’altro la facoltà di scienze motorie. Silvia ha così iniziato a praticare atletica, in particolare il mezzo fondo. “Adesso mi torna molto utile per quanto riguarda la resistenza, perché in una partita di calcio si fanno una dozzina di chilometri. Ho ancora qualche difficoltà sugli scatti e sui cambi di direzione, ma per quello ci sono gli allenamenti”. La decisione di coltivare la passione calcistica, ma nel ruolo di arbitro, è arrivata nel 2015 dopo aver visto all’opera la sua coetanea e compaesana Sara Semenzin. Dopo il corso alla sezione Aia di Castelfranco, a cui tuttora appartiene, ha iniziato arbitrando partite delle categorie giovanili, facendo l’esordio in una gara di Terza categoria a dicembre 2019 e in Seconda a febbraio 2020, prima del lockdown. “Lo scorso aprile c’è stata l’occasione di fare il salto in Prima, perché il Comitato regionale aveva bisogno di arbitri e ha chiesto una mano alle sezioni locali”. Le valutazioni positive raccolte fino ad allora le hanno quindi consentito di salire di categoria.
“Sono contenta, anche perché vorrei progredire ancora nel ruolo, vediamo se a luglio ci sarà una promozione. A parte le distanze, che diventerebbero regionali, non cambia molto nell’approccio alla gara, che dobbiamo comunque preparare. Ad esempio ci informiamo sulle squadre e sui giocatori, anche dal punto di vista tattico, perché il tipo di gioco può influire sulla nostra posizione e sui nostri movimenti”. Anche guardare una partita in tv è diverso, perché, al di là della passione per una squadra specifica, la prospettiva è centrata sull’applicazione del regolamento. Non tutto però fila sempre liscio: la sua collega Semenzin nel 2018 era stata vittima di attacchi verbali sessisti durante e dopo una partita. “E’ stato un brutto episodio. A me per fortuna non è mai capitato, ho sempre trovato ambienti vivaci, ma rispettosi. Penso che l’arbitro debba essere esemplare nel comportamento e applicare le regole con competenza, personalità e credibilità”. Di arbitraggio, lo sanno anche i grandi fischietti internazionali, non si vive, e ciascuno ha il suo mestiere.
“Mi piacerebbe insegnare e sto completando la laurea magistrale in lettere classiche. Sono contenta che al Mondiale in Qatar ci siano tre arbitri donna (la francese Stephanie Frappart, la ruandese Salima Mukansanga e la giapponese Yoshimi Yamashita, ndr). Spero che queste designazioni incentivino il reclutamento di nuove leve, ma trovo strano che un fatto del genere faccia ancora notizia”.
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