martedì, 15 ottobre 2024
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L’importanza della letteratura nella formazione: sensibili al mistero degli altri

Le parole del Papa: “Spesso nella noia delle vacanze, nel caldo e nella solitudine di alcuni quartieri deserti, trovare un buon libro da leggere diventa un’oasi che ci allontana da altre scelte che non ci fanno bene”

Riaprono le scuole e, come ogni anno, si moltiplicano sui media i consigli di esperti di ogni genere rivolti a genitori e insegnanti, su quella che si presenta sempre più come una sfida da ingaggiare con adolescenti (ma ormai anche con preadolescenti) sempre più demotivati, annoiati, stressati, colpiti da stati di ansia e di malessere che loro stessi non sanno definire.

Tra le varie voci ce n’è una particolarmente degna di nota, scivolata forse un po’ in sordina tra le afose giornate di inizio agosto: si tratta di quella di papa Francesco, che, con la sua “Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione”, ci ha regalato una straordinaria riflessione sul ruolo che la lettura di romanzi e poesie può esercitare nel percorso di crescita dei giovani.

In realtà, il testo, come lui stesso ha ricordato in apertura della lettera, era destinato alla formazione sacerdotale, e poi, per sua stessa scelta, esteso a tutti gli agenti pastorali e a qualsiasi cristiano, ma può essere un prezioso strumento di riferimento anche per chi, come me, ogni giorno si occupa di formazione dei giovani nelle scuole pubbliche.

“Spesso nella noia delle vacanze, nel caldo e nella solitudine di alcuni quartieri deserti, trovare un buon libro da leggere diventa un’oasi che ci allontana da altre scelte che non ci fanno bene. Poi, non mancano i momenti di stanchezza, di rabbia, di delusione, di fallimento, e quando neanche nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell’anima, un buon libro ci aiuta almeno a passare la tempesta, finché possiamo avere un po’ più di serenità. E forse quella lettura ci apre nuovi spazi interiori che ci aiutano ad evitare una chiusura in quelle poche idee ossessive che ci intrappolano in maniera inesorabile”.

Leggendo le parole del papa, straordinariamente incisive e più che mai attuali, non possiamo non rimanere colpiti dalla lucida descrizione di emozioni (rabbia, delusione, senso di fallimento) spesso presenti nei giovani, come sintomo di un vuoto esistenziale cui tante volte gli adulti (genitori, educatori a vario titolo) non sanno dare una risposta adeguata e che, nel peggiore dei casi, possono sfociare in autentiche tragedie. Ma quelle “idee ossessive”, quelle “scelte che non fanno bene”, la rabbia e le altre emozioni negative possono essere guarite o almeno attutite da “quella lettura che ci apre nuovi spazi interiori”.

Spesso si parla dell’incapacità da parte degli adolescenti nel provare e riconoscere le emozioni, della loro scarsa empatia, dovuta anche all’uso indiscriminato delle nuove tecnologie.

La letteratura, invece, sostiene il papa, “ci rende sensibili al mistero degli altri” e, citando il suo conterraneo Borges, ci insegna ad “ascoltare la voce di qualcuno”. Viceversa, “si cade nell’autoisolamento, in una sorta di sordità spirituale”.

Nella scuola si parla da anni di “intelligenza emotiva”, della necessità di educare i giovani alle emozioni. E che cosa può muovere l’animo più della letteratura?

La pensava così anche san Paolo VI, come ci viene ricordato nella Lettera, quando, nel suo celebre discorso agli artisti, ricordava il ruolo preminente che l’arte svolge nel toccare il cuore dell’uomo, aprendolo all’invisibile.

La letteratura non è altra cosa dalla vita, la letteratura è vita. Ricordo le parole (che sempre mi sforzo di tenere presenti) inserite dal critico letterario Romano Luperini in una vecchia edizione della sua antologia per le scuole, dal titolo Le parole le cose: “la letteratura è fatta di parole. Spesso dimentichiamo, però, che esse rimandano alle cose, cioè ad esperienze reali, a emozioni che commuovono, alle gioie, ma anche alle lacrime della vita di ogni giorno”.

Parole sorprendentemente vicine a quelle utilizzate da papa Francesco: “La letteratura ha, così, a che fare, in un modo o nell’altro, con ciò che ciascuno di noi desidera dalla vita, poichè entra in un rapporto intimo con la nostra esistenza concreta, con le sue tensioni essenziali, con i suoi desideri e i suoi significati”.

E’ un messaggio, questo, che non sempre come docenti, spesso rigidamente asserragliati ai programmi, siamo in grado di far arrivare ai nostri studenti, e invece a scuola, come in altri contesti, sembra suggerire papa Francesco, sarebbe utile un po’ di flessibilità. Così il Papa, con la levità che lo caratterizza, ci racconta un episodio della sua carriera di giovane docente di Letteratura, negli anni Sessanta, a Santa Fe, in una scuola dei Gesuiti: “Insegnavo agli ultimi due anni del liceo e dovevo fare in modo che i miei alunni studiassero El Cid. Ma ai ragazzi non piaceva. Chiedevano di leggere García Lorca. Allora ho deciso che avrebbero studiato El Cid a casa, e, durante le lezioni, io avrei trattato gli autori che piacevano di più ai ragazzi. Ovviamente loro volevano leggere le opere letterarie contemporanee. Ma, leggendo queste cose che li attiravano sul momento, prendevano gusto più in generale alla letteratura, alla poesia, e poi passavano ad altri autori. Alla fine, il cuore cerca di più, e ognuno trova la sua strada nella letteratura”.

E’ un concetto sapientemente espresso anche dallo scrittore (e docente) Alessandro D’Avenia, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, che spesso amo leggere ai miei studenti per motivarli alla lettura. D’Avenia racconta di quando, da quindicenne annoiato in un’afosa giornata d’estate (tutto torna!), si accosta alla lettura di Delitto e castigo, facendosi coinvolgere da Dostoevskij nelle rocambolesche e drammatiche vicende del giovane Raskò’lnikov. “Ma perchè - si chiede D’Avenia - certi autori ci prendono per mano e ci accompagnano per tutta la vita? Amiamo gli artisti che ci svelano la ricerca che noi stessi, a nostra insaputa, stiamo facendo. Il nostro vivere non va verso la morte, ma verso una nascita sempre più piena, siamo esseri incompiuti e chiamati a nascere ogni giorno di più, per questo non possiamo fare a meno della bellezza, l’ostetrica della vita rinnovata”.

E ancora, sempre in riferimento alla passione maturata per Dostoevskij: “Mi affascinava che in me ci fossero così tante cose e che qualcuno mi aiutasse a vederle e abitarle, senza dover fuggire o sentirmi strano: io volevo vivere all’altezza di quelle domande (...)”.

Esiste, dunque, una via possibile, come ci insegna oggi anche papa Francesco, per riconnettere i giovani (ma anche ognuno di noi) con la (ricerca della) verità di sé, e questa via può essere rappresentata proprio dalla letteratura. La strada è aperta.

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