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Editoriale: L'antifascismo come valore

Il 25 aprile è la festa della Liberazione dal nazifascismo. Certi revisionismi storici e negazionismi di matrice ideologica non servono certo alla coesione nazionale, né all’affermarsi a ogni livello di una democrazia compiuta

27/04/2023

Martedì scorso abbiamo celebrato il 25 aprile, festa che commemora la liberazione dell’Italia, grazie alla Resistenza e alle forze anglo-americane, dall’occupazione nazista e la definitiva caduta del regime fascista. Diversamente dagli altri Paesi europei, che celebrano la fine della II Guerra mondiale il 2 settembre (giorno della resa del Giappone), in Italia è stato scelto il 25 aprile, sia perché noi eravamo con la Germania di Hitler, tra gli aggressori sconfitti e non tra i vincitori, sia perché questa data coincide con l’insurrezione generale (a partire da Milano) di tutte le forze partigiane, proclamata dal Comitato di liberazione nazionale, l’organizzazione politica e militare costituita dai principali partiti e movimenti antifascisti, che in Italia si opponevano all’occupazione tedesca e al nazifascismo.

Gli scivoloni di La Russa
Anche quest’anno, purtroppo, non sono mancate le polemiche innescate, soprattutto, da esponenti di Fratelli d’Italia, il principale partito dell’attuale maggioranza di Governo, i quali si sono lasciati andare a inopportuni distinguo e sofismi sul 25 aprile e sul fascismo. Su tutti si è fatto notare e sentire, come spesso accade, il loquace presidente del Senato Ignazio La Russa, il quale ha sentito l’impellente bisogno di precisare che nella Costituzione non si parla mai di antifascismo, e che comunque egli, dopo essersi recato con le alte cariche dello Stato all’altare della Patria, sarebbe volato a Praga per rendere omaggio a Jan Palach, simbolo dell’anticomunismo. Forse, La Russa non sa o non vuole riconoscere che la nostra Costituzione è, come ribadito dal presidente della Repubbica, Sergio Mattarella, figlia della lotta antifascista, e che la XII disposizione transitoria vieta espressamente la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto Partito nazionale fascista.
A questi scivoloni il Presidente del Senato non è nuovo, e ogni volta che viene rimbeccato per le sue esternazioni revisionistiche, finisce col lamentarsi di essere sempre sotto tiro e strumentalizzato. Come è successo ai primi di aprile, allorché si permise di squalificare come “pagina tutt’altro che nobile della Resistenza”, l’attentato del 1944 in via Rasella, a Roma, contro soldati delle forze di occupazione tedesca (che portò, come rappresaglia, all’eccidio delle Fosse Ardeatine), soldati da egli ritenuti “non biechi nazisti delle SS, ma una banda musicale di semi-pensionati”. Tanto l’ha sparata grossa, che la premier Giorgia Meloni è stata costretta a definire un tale intervento come una “sgrammaticatura istituzionale”, costringendo La Russa a scusarsi e a ripristinare la verità storica.

La svolta di Fiuggi
Della necessità di operare un taglio definitivo con il passato si era reso conto anche l’ultimo segretario dell’allora Movimento sociale italiano - Destra nazionale, Gianfranco Fini, il quale, al fine di accreditarsi come forza politica legittimata a governare, decise di abbandonare i riferimenti ideologici al fascismo, soppresse il vecchio partito e a Fiuggi, nel 1995, diede vita ad Alleanza nazionale. E’ stata una svolta politica e culturale importante e necessaria, conseguente allo sdoganamento della vecchia destra italiana di ispirazione fascista, operato da Silvio Berlusconi, quando nel 1994 portò il Msi (già in transizione verso An) e la Lega a far parte del suo primo Governo di centrodestra.
Purtroppo, nonostante il passare degli anni, nella destra italiana ci sono ancora persone, ora anche con ruoli istituzionali, che non riescono a dissociarsi dalle idee del vecchio Movimento sociale e per le quali la parola “antifascismo” è ancora un tabù, qualcosa che non fa parte della loro grammatica politica e culturale. Così che, pur di non pronunciarla, manipolano la storia, facendo una lettura di parte dei fatti.

Parole chiare e inequivocabili
Alla vigilia del 25 aprile è stato significativo che l’ex segretario di An Gianfranco Fini, abbia chiesto a Fratelli d’Italia di fare, senza ambiguità di sorta, la scelta chiara dell’antifascismo, aggiungendo anche di non capire “la ritrosia di Meloni sull’antifascismo”.
Ora che FdI ha la guida del Governo sarebbe opportuno che la sua leader Giorgia Meloni fosse più chiara e inequivocabile, nel dichiararsi antifascista e nel riconoscere il valore dell’antifascismo come fondativo per la nostra Repubblica, evitando anch’essa giri di parole, sinonimi, perifrasi e subordinate varie. Una reticenza che, purtroppo, non è riuscita a superare neanche martedì scorso con la lettera inviata al “Corriere della sera”, nella quale si è spinta fino a ribadire (ed è già molto) la propria incompatibilità e quella della “sua” destra con “qualsiasi nostalgia del fascismo”.

Il nostro 25 aprile
Per molti di noi italiani il 25 aprile non è semplicemente la “festa della libertà” ma della Liberazione dal nazifascismo. Riteniamo che, al di là di strumentalizzazioni, che ci sono state e ci sono tutt’ora, o di indebite appropriazioni politiche di una così importante giornata, la Resistenza e l’antifascismo debbano rimanere per tutti i valori fondativi della nostra Repubblica. Certi revisionismi storici e negazionismi di matrice ideologica, di destra o di sinistra che siano, non servono certo alla coesione nazionale, né all’affermarsi a ogni livello di una democrazia compiuta. Tantomeno aiutano le nuove generazioni a farsi una idea chiara di certi eventi nefasti della nostra storia recente come, ad esempio, sulla Shoah o sui Gulag staliniani.

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